La scorsa volta Fra Sergio ci ha introdotti nel Cammino dei Cappuccini con il “coraggio” di varcare una “soglia”: la soglia delle abitudini e di una vita statica. Questa volta entreremo dentro un’altra parola di speranza: “abito”. Possano queste parole accompagnare i nostri passi nella gioia di tornare all’essenziale!

Sul sito del Cammino dei Cappuccini puoi trovare i prossimi cammini di gruppo (prossimi gruppi organizzati con le guide a partire dal 29 giugno). Questi podcast che abbiamo realizzato per il Cammino dei Cappuccini sono disponibili anche in versione audio e sono completamente gratuiti. Si possono trovare sul sito del Cammino, su Spotify e Youtube.

Ciao, sono Paride Petrocchi, della fraternità Grain de Blé. Con questo podcast, pensato in occasione del Giubileo, voglio consegnarti una parola che dia speranza al tuo cammino di vita. La parola è: “abito” e con essa ti auguro: buon cammino pellegrino!

Come già ti ho preannunciato, la parola dalla quale vorrei che ci lasciassimo ispirare in questo podcast è “abito”. È una parola con più significati. Può essere un verbo; può indicare un’abitudine; può significare un vestito. Ognuna di queste accezioni ci aiuterà in questo breve tempo che condivideremo.

“Maestro, dove abiti?”

Abito è anzitutto una coniugazione del verbo “abitare”. Mi fa pensare alla domanda che i primi discepoli rivolgono a Gesù: “Maestro, dove abiti?” e di riflesso mi domando: io dove abito? Dove ho la mia casa? Presso cosa ho posto la mia dimora, che poi è anche il mio cuore? Il rumore dei passi, gli uccelli che cantano possono fare da sottofondo a questa domanda ma non mi devono distrarre da essa. Perché, a volte, anzi spesso, fuggiamo da domande che ci mettono in crisi. Soffochiamo il silenzio con rumori per evitare stimoli scomodi. Ma se tu, se io, ci siamo messi in cammino, un motivo ci sarà. Una volta messo il piede fuori dalla porta, al di là della soglia, non possiamo perdere questa occasione e viverla superficialmente; in questo pellegrinaggio occorre andare in profondità.

C’è un film che mi è rimasto nel cuore. L’avrò visto tre o quattro volte. Parla di un cammino e di un sogno: “Il cammino di Santiago”. I pellegrini di quel film raccontano le motivazioni del cammino: “sono partito per rientrare in un abito…”; “sono partito per smettere di fumare…”; “sono partito perché avevo il blocco dello scrittore”. Tutte verità, ma anche tutte bugie perché erano risposte superficiali.

Solo alla fine gli stessi pellegrini, durante l’ultima tappa, davanti all’ultimo timbro sulla credenziale, trovano il coraggio di raccontarsi la verità. Ecco, caro pellegrino, cara pellegrina, come compagno di viaggio, vorrei chiederti: dove abiti? Dove hai posto le fondamenta della tua vita? Lasciati interrogare da questa domanda.

Abito come abitudine

La seconda accezione di “abito” indica l’abitudine. Nell’aprire il Giubileo, durante la celebrazione della messa della notte di Natale, papa Francesco ha detto:
“E questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle diverse situazioni della vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”.

Cammino e mi risuonano queste parole: “Essa ci chiede di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nella mediocrità e nelle pigrizia”. Parole che mi colpiscono, quasi mi sorprendono alle spalle. Non avevo pensato alle abitudini, a quelle azioni in cui inserisco il pilota automatico e che sono una buona parte della mia quotidianità. Mi fermo e ci rifletto sopra: quante e quali abitudini formano il mio quotidiano? Quali di queste sono buone, fragranti, luminose e quali
invece sono frutto di un movimento inerte, dal gusto mediocre e pigro? Quali di esse aprono alla speranza e quali, invece, chiudono nella tristezza, nella noia, in una quotidianità sempre uguale a se stessa?

Se sei in cammino è perché vuoi metterti in gioco, vuoi cercare e aprirti a qualcosa di nuovo, di grande, di alto, e questo non puoi farlo senza mettere in discussione le azioni, i modi di essere e di fare che impastano la tua quotidianità. Devi disinnescare il pilota automatico dalla tua vita e demolire l’illusione di cambiare a patto che nulla cambi della tua vita attuale. Puoi cambiare solo se sei disposto a cambiare.

Abito come vestito

Terza accezione di “abito”.
Anche tu, prima di questo viaggio, ti sarai posto la domanda: quali abiti, quali vestiti porto con me? Cosa è necessario e cosa è superfluo? Qui inizia la lotta tra sottrazione e addizione; la lotta per cui vorresti portare poco ma poi ti ritrovi con lo zaino pesante perché hai dato retta alle voci: “E se questa cosa mi servisse?” “E se mi accadesse questa situazione, questo potrebbe essermi utile”. Questioni lecite, sane, ma che mascherano la paura di non avere abbastanza.

Mi viene in mente un celebre passo del Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli: «non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno».

Viaggiare leggeri

Gesù ci rende consapevoli che nel cammino ciò che non serve pesa e ciò che non aiuta ostacola. Così è anche nella vita. Ci siamo abituati ad accumulare il superfluo, portando con noi anche ciò che non ci servirà. Non è raro, al ritorno da un viaggio, scoprire che molti degli oggetti che ci siamo portati dietro non ci sono serviti affatto. In realtà, sarebbe bastato molto meno: tutto ciò che abbiamo aggiunto inutilmente non ha fatto altro che appesantirci.

Pensiamo al denaro, nessuno si sognerebbe mai di viverne senza. Anche intraprendere un pellegrinaggio richiede almeno un minimo di disponibilità economica; l’importante però è che questo denaro non diventi una “porta chiusa” all’azione provvidente e sorprendente di Dio. L’essenziale è che il denaro non ci dia l’illusione di tenere tutto sotto controllo e ci faccia dimenticare che viviamo in un oceano di gratuità.

Le parole di Gesù ci invitano a viaggiare “leggeri”, senza l’ansia di prevedere ogni dettaglio in anticipo, accettando gli imprevisti come parte del cammino. Partire senza la pretesa di avere tutto ciò che potrebbe servire è un segno di fiducia. Fiducia nei compagni di viaggio, pronti ad aiutare se necessario; fiducia nella vita, capace di provvedere; fiducia in Dio, che accompagna ogni passo del cammino.

Ti lascio con questo appello alla fiducia e con un brano di un cantautore che significa molto per me: Niccolò Fabi e la sua Elementare.
Buon cammino pellegrino. Siano i tuoi passi pieni di speranza.

Paride Petrocchi

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