Luce e assenza

Un lampo di luce. Sarebbe stato questo a imprimere sulla Sindone l’immagine dell’Uomo Crocifisso. Stando a questa ipotesi, la Risurrezione sarebbe stata un’esplosione di luce. Una nuova Creazione, cominciata come la prima nel segno della luce (Gen 1,3).
I Vangeli, in verità, non ci raccontano come sia avvenuta. Nessuno lo sa. Il mistero è avvolto in quel buio, che ha inghiottito il Signore della vita senza, però, trattenerlo. Rimangono solo i segni su cui – quasi come in un’inchiesta – tutti gli evangelisti indugiano: l’assenza del cadavere, il sudario piegato, la pietra rotolata, il vuoto del sepolcro, quel vuoto che sfida ogni comprensione… segni che, mostrando un’assenza, paradossalmente indicheranno una presenza.

Il vuoto da decifrare

Ma Lui non c’è e non sappiamo dove l’hanno posto – dice disperata Maria quando, venuta prima dell’alba dell’uno dei sabati (cf. Gv 20,1) a piangere ancora il cadavere amato, non trova che quel vuoto attrattivo e propulsivo. A quel vuoto e da quel vuoto, infatti, si mette in moto una storia che ha raggiunto anche noi. Da lì iniziano, infatti, corse e domande, incontri e annunci. All’inizio tra paura e scetticismo. Poi, nella gioia che da incredula si fa credente. Prima le donne, Maria di Magdala, poi Giovanni e Pietro… e, poi, la sera di quel giorno i discepoli nel cenacolo, quelli sulla via di Emmaus… e ancora otto giorni dopo Tommaso… e, poi, tanti altri fino all’esplosione a Pentecoste, fino a noi, che continuiamo quella folle corsa pasquale, quell’esodo a e da quel vuoto, il nostro, abitato, folgorato dalla sua Pasqua. Viviamo anche noi i nostri incontri con il Risorto, i nostri incontri sul Risorto.

In realtà, non senza fatica, non senza difficoltà. La Pasqua non è immediata come il Natale, non ha la stessa poesia e soprattutto non ha un segno tangibile, come quello di un bambino. Ha un vuoto da decifrare, un’assenza da lasciar riempire di senso, una presenza inafferrabile da scorgere e seguire sulle strade ormai senza fine delle Galilee del mondo.

Comprendere e vedere 

L’evangelista Giovanni chiude il suo racconto di quell’insolito mattino, abitato da affannose corse, sguardi indagatori e soglie varcate, senza che il mistero del corpo mancante sia stato sciolto davvero da tutti, con una sottolineatura: infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,9). La Pasqua richiede un’ermeneutica, una comprensione, che può essere fatta solo alla luce della fedeltà di Dio alle sue promesse, disseminate nella Scrittura.

La Pasqua richiede uno sguardo penetrante. Quando Giovanni dice che i discepoli non avevano compreso, in realtà il verbo usato (ᾔδεισαν) è quello del sapere/conoscere ma anche del vedere: οἶδα (oìda), che viene da una delle radici del verbo ὁράω (oráō), vedere, che proprio in questo brano – come del resto nel corso del quarto Vangelo – ha un ruolo cruciale.

L’evangelista, infatti, dispiega in questi pochi versetti quasi mezzo lessico greco della vista. Al semplice atto del guardare (βλέπω, blépō), della percezione sensibile che constata il vuoto del sepolcro, si intreccia l’indagare scrutando i segni (θεωρέω, theōréō), il guardare razionale, il cercare di capire con le forze intellettive, il vedere analitico; a questi due atteggiamenti, che sono propri di Pietro e di Maria nel prosieguo, si aggiunge il vedere della fede (ὁράω), il vedere che è entrare nelle cose, il vederle illuminate, il vedere illuminante. È questo lo sguardo pasquale!

Questo sguardo è proprio del discepolo amato, che vide e credette (Gv 20,8). Sarà poi di Maria, dopo che il giardiniere la chiamò per nome ed ella, voltandosi e voltandosi, riconobbe infine il Rabbunì del suo cuore. Successivamente sarà di Pietro e degli altri, che vedranno gioiosi il Signore e non il fantasma, su cui avevano proiettato le loro mancanze e paure. Sarà, infine, di Tommaso, che quasi in un corpo a corpo con il Risorto, vedrà finalmente nell’amico Gesù il suo Dio!

Lo sguardo pasquale

Foto di João Jesus da Pexels

Dunque la Pasqua è questione di vedere. È questione di luce. Senza di essa noi non possiamo davvero vedere Dio, non possiamo davvero vedere Gesù, non possiamo nemmeno vedere davvero noi stessi. La Pasqua, infatti, ci fa vedere Dio come Padre, amore che libera, salva e ricrea la storia di ognuno! Ci fa vedere Gesù non come un uomo qualunque, seppur straordinario, ma come il Signore, che per amore ha dato la vita, ha vinto la nostra morte, perché potessimo anche noi aver parte alla sua stessa vita! La Pasqua ci fa vedere che noi non siamo i nostri fallimenti, il nostro peccato, il nostro dolore, la morte e le morti che subiamo o fabbrichiamo, ma siamo figli amati, perdonati e rinnovati per il senza fine della vita di Dio! 

La Pasqua ci fa vedere la storia e il mondo e le loro contraddizioni, le loro macerie e i fiumi di sangue innocente, come attraversati e sostenuti da una consanguineità di dolore e di gioia profonda con Gesù stesso, Agnello sgozzato e risorto: come se le fibre del cosmo, le dinamiche della storia e le nostre esistenze fossero a livello più profondo intrecciate, connesse e alimentate dalla sua vittoria pasquale, dalla luce con cui Egli ha folgorato e ricreato tutto.

Apocalisse pasquale

Questa vittoria, questa luce – che di primo acchito non riusciamo a vedere tra le macerie di Gaza, nei naufragi del Mediterraneo, in mezzo ai letti degli ospedali o nelle baraccopoli, nella cultura e l’educazione allo sbando, nella politica e nel mercato sempre più contorti e in mano all’egoismo più sfrenato, nei lutti e nel male sempre più incomprensibile, nel grande enigma del dolore innocente – innervano, reggono e orientano il mondo, la storia, le nostre esistenze come in un immenso parto, faticoso ma infallibilmente vittorioso di cui noi siamo, insieme, il frutto ma anche i collaboratori necessari, come diceva un amico prete in una sua omelia.

È lo sguardo del veggente del libro dell’Apocalisse, che scopre al fondo di una storia martoriata dalla guerra, dalla fame, dalla pestilenza, dal dolore innocente, una trama luminosa che – non nonostante, ma attraverso tutto – l’ha sostenuta e condotta, rinnovandola profondamente, fino alle nozze con l’Agnello, alla città che scende dal cielo, che non ha bisogno della luce del sole, dove il Dio-Trinità e l’uomo sono compagni.

Francesco Pacia

Puoi trovare altre meditazioni sui Vangeli all’interno del nostro blog: Lievito nella pasta

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