Ad un metro da terra è un articolo di Marco Raponi a partire dalla storia della palleggiatrice Eleonora lo Bianco che si lega con la meditazione della V domenica di Quaresima.

Lo Bianco, dopo 548 di presenze in nazionale, 5 partecipazioni olimpiche, 1 titolo Mondiale, a 39 anni la palleggiatrice che ha scritto la storia del nostro volley esce di scena.

Lunedì al Coni a Roma è entrata nella prima «Hall of fame» del volley italiano. Be’ che dire, anche per i non appassionati di pallavolo si capisce subito che siamo di fronte a tanto tanto. Mi soffermo molto a riflettere in questi casi, mi domando perché tutto questo? Perché alcune persone vivono una vita simile? E vi assicuro che non è una vita di sole gioie e allori, anzi è una vita di molti, moltissimi sacrifici, rinunce, pressioni fisiche e psicologiche.

Nella V di Quaresima la seconda lettura tratta dalla lettera ai filippesi così iniziava: “Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore.” Ad una lettura superficiale si potrebbe pensare che la povera Lo Bianco non è che ci abbia acchiappato molto, magari si potrebbe pensare che abbia deciso unilaterale di fare della propria vita quello che vuole senza che nulla e nessuno abbia potuto metterci il naso. La radicalità che si percepisce in San Paolo non è data da un fare della propria vita un oggetto asettico al servizio di Dio (non come un figlio, ma come un servo), infatti Paolo ci parla della sublimità della conoscenza di Dio, che consiste precisamente in un dilettarsi istante per istante nella propria vita, della presenza di Dio che si manifesta e diventa quindi esperienza e conoscenza di Lui. Questo non può che accadere all’interno di noi, della nostra umanità, dei nostri desideri, aspirazioni, non al di fuori, un di fuori in cui ne noi stessi ne Dio può abitare, perché l’abitazione di Dio è precisamente il nostro cuore. Giovanni Paolo II diceva: In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità.

Cosa spinge Eleonora a spendere 30 anni della sua vita giocando a pallavolo? La felicità, che ha un nome ben precisò e si incarna in una persona concreta, la Quale desidera prima di noi e molto più di noi una felicita piena e permanente, questo desiderio di Dio accade anche se noi non ce ne accorgiamo e siamo anni luce lontani da Lui.

Non tutti siamo chiamati a essere pallavolisti o ingegneri o diplomatici, ma tutti siamo chiamati ad essere felici, e tutti lo desideriamo. Questo santo desiderio può avvenire soltanto mettendo in coltura i due semini che ci vengono consegnati appena concepiti, (e preciso concepiti, non battezzati): uno è il nostro talento naturale (e tutti ne abbiamo, nessuno pensi il contrario!); due la fede in Colui che ce lo dona, in quanto tutta la nostra vita è avvolta da una manifestazione di amore personalissimo del Signore, anche se non sempre ce ne accorgiamo.

Auguri alla futura mamma Eleonora!

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