Preparati a tanto amore

C’è un culmine nella storia d’amore di Dio per noi: la croce. Il patibolo è infatti il vertice del suo amore, tanto che la liturgia del venerdì santo ci invita a guardare alla croce come talamo nuziale. Sulla croce Gesù si è donato a noi per sempre, ma prima di arrivare a questo vertice, egli vuole preparare i suoi amici, prefigurando quello che avverrà sul Golgota con gesti di iniziazione e parole di rivelazione. Il Vangelo non è un codice morale ma, il rivelarsi progressivo della Passione di Dio per noi.

Gesti desiderati

Nel Vangelo del giovedì santo, Gesù parla solo alla fine, dopo aver compiuto dei gesti precisi. Gesti che iniziano con una consapevolezza: “sapendo”. Lui sa infatti cosa sta per fare, cosa desidera fare.

“Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto”.

Foto di Jacob Kelvin da Pexels.

Gesti dolcissimi

Se chiudo gli occhi riesco a vederne i movimenti: lenti, consapevoli, dolcissimi e pieni della sua Presenza. Con questi gesti si alzò per avvicinarsi ai suoi discepoli e toccarli con tenerezza. Quante volte lo ha fatto negli anni della predicazione, avvicinandosi anche a chi viveva “da allontanato” come i lebbrosi. L’essenza dell’amore consiste nell’andare incontro a chi è stato allontanato: ama infatti colui che fa il primo passo.

Gesù si cinge i fianchi come un guerriero. Cingersi i fianchi è un gesto caratteristico di chi si prepara alla lotta nell’Antico Testamento e siccome l’amore è sempre una lotta contro le forze del male, servire gli altri è possibile solo dichiarando guerra al proprio egoismo che ci allontana dal bene. Servire i fratelli infatti non è un punto di partenza nella vita cristiana ma un punto di arrivo. Spesso pensiamo di servire gli altri e invece stiamo facendo solo un servizio al nostro “io”: solo chi lotta continuamente contro la propria presunzione riesce veramente a servire.

Gesù depone le vesti. Il suo spogliarsi sembra già anticipare la denudazione prima della crocifissione. Egli depone la sua regalità, i suoi diritti e ci viene a servire con la debolezza disarmata dell’innamorato: chi ama è sempre indifeso e vulnerabile davanti all’amato, chi ama depone le vesti, chi ama si espone e si rende raggiungibile. Chi si dona infine è tradibile e feribile.

Infatti sappiamo che tutti i suoi amici effettivamente, alla fine, lo ferirono abbandonandolo, consegnandolo e rinnegandolo e nonostante questo, lui lava i piedi a tutti. Li lava a Pietro, come a Giuda, così come a me perché il suo amore è accoglienza, perdono, misericordia.

Foto di Henning Westerkamp da Pixabay.

Anche noi

Chissà se i discepoli avranno compreso quei gesti che loro avrebbero dovuto ripetere: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.” Questo invito ha percorso i secoli ed è arrivato fino a noi, cristiani di oggi. Mi guardo le mani e chiudo gli occhi: “Fà, o Signore, che i miei gesti per i fratelli siano desiderati, preparati e carichi di tenerezza come i tuoi. Aiutami ad alzarmi dalla rigidità dei miei punti di vista, dalla visuale delle mie pre-comprensioni per accogliere l’altro nella sua originale bellezza. Signore cingimi i fianchi perché io abbia il coraggio di lottare ogni attimo contro la mia presunzione. Signore insegnami a deporre le vesti senza il timore di essere ferita, conducimi sui sentieri del dono. Là dove si ama da morire.”

Claudia Spurio

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