Il grido della ferita è una meditazione di Francesco Pacia per la II domenica di Pasqua.

“Tommaso siamo noi. È il nostro gemello, come dice l’etimologia del suo nome. È la nostra ombra. È il dubbio di fronte alla vita.” Ci facciamo accompagnare da Francesco Pacia nella meditazione di questo Vangelo che prolunga la gioia della Pasqua, passando per le ferite del Risorto!

II Domenica di Pasqua – 7 aprile

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.  Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20, 19-31)

Tommaso siamo noi

Tommaso siamo noi. È il nostro gemello, come dice l’etimologia del suo nome. È la nostra ombra. È il dubbio di fronte alla vita. L’ostinarsi a voler dirigere noi la storia, la realtà, le cose. Sentendone tutto il peso e tutta la drammaticità. Ma c’è una cosa che salva Tommaso. Nonostante tutto, rimane. Rimane tra quei suoi, forse incompresi, odiati, disprezzati perché creduloni. Rimane con l’ostinazione di voler incontrare vis-à-vis quello che poteva essere solo un fantasma o una illusione creata dai suoi amici.

E il Risorto non si sottrae: prende sul serio il dubbio, la domanda, la difficoltà di Tommaso e accetta che egli voglia lanciare, gettare, scagliare – come dice il testo greco – i suoi occhi e le sue mani nelle piaghe. Quasi con violenza, quasi in un corpo a corpo con il Risorto. Mettere il dito nella piaga: è quello che vuole fare Tommaso, andare a vedere lì il punto nevralgico, ciò che smaschera le loro fragilità di discepoli inconsistenti, ma anche conferma chi è il Risorto.

Ferite nella carne

Il Risorto, infatti, è riconoscibile da quei segni, che dicono che la Pasqua non annulla quanto è accaduto. Se la Risurrezione avesse cancellato quei segni, la vita terrena di Gesù sarebbe stata solo una parentesi tra un prima e dopo divino e la storia, la nostra storia, la nostra carne, le nostre scelte, le nostre vite avrebbero avuto una totale insignificanza. Al contrario annunciano che Dio, facendo risorgere il suo Figlio, ha messo il sigillo sulla sua scelta di amare fino alla fine, di dare la sua vita.

Dice che per Dio la nostra vita, la nostra storia, la nostra carne è la materia prima della Pasqua: con quella risorgeremo, con questo corpo che ha amato, lottato, creduto, che ha ferito ed è stato ferito, con il bene che avremo fatto, le relazioni che avremo costruito. Perciò in quelle piaghe si vede chi è Gesù… e noi dobbiamo ringraziare anche Tommaso perché ci costringe a mettere proprio lì il dito. Nella piaga. Nelle piaghe. Nelle piaghe che sono le pieghe in cui passa Dio. Quelle piaghe che saranno sempre aperte. Come saranno aperte quelle che il nostro corpo risorto annuncerà a tutti un giorno, ma che già ora si aprono in noi con le nostre scelte.

La nostra carne nel sigillo di Gesù

Noi non siamo nati solo per noi stessi – come diceva Cicerone. La nascita, che è stata una ferita nell’inesistenza e ci ha immessi in quel circolo inevitabile di continue ferite, non ci ha consegnato al caso, ma a una realtà cui noi siamo stati affidati e che ci è stata affidata, in cui chiamati a scelte d’amore. In questa realtà, che ci è data, c’è qualcosa che può essere fatto solo dalla nostra umana unicità e unica umanità: qualcosa che solo io posso fare e che posso fare non solo per me ma anche per il bene dei giorni e dei luoghi e delle persone che viviamo.

La forma sarà unica per ognuno, ma per ognuno quella forma avrà alla fine il sigillo delle ferite d’amore di Gesù. Anche noi se avremo portato con fedeltà quella scelta di amore grande… avremo i segni dei chiodi. No, non saremo Padre Pio 2.0! No, avremo segni che diranno che abbiamo amato e siamo stati amati con tutti noi stessi. Questo è l’amore che sfida la morte. Che ribalta la pietra del sepolcro. Che apre il cenacolo, ci apre alla vita. Ci fa uscire dalle paure.

Questo è l’augurio pasquale – e vocazionale – che ci facciamo: fare corpo a corpo con il Risorto, piaga a piaga, piaga nella piaga, per uscire dalle nostre chiusure e andare incontro alla vita – con tutto lo sforzo possibile – per essere feritoie di Pasqua per chi ancora non riesce a ribaltare la propria tomba sepolcrale e vede nelle inevitabili piaghe la fine e non il fine, l’inizio, il canale per un amore più grande.

*Il testo è apparso su Kairós. Comunità vocazionale Diocesi di Nola, Anno II, n° 2 – 28 marzo 2024, p. 12.

Francesco Pacia

Link alla meditazione sul Vangelo di Pasqua: https://www.legraindeble.it/la-corsa-il-vuoto-laltrove/

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