Tra i doni di grazia che Dio Padre offre ai credenti attraverso la mediazione del Figlio Gesù, l’Apostolo Paolo ne sottolinea uno in particolare. Giustificato per la fede in Cristo, il cristiano partecipa della figliolanza divina.

In tutto il suo epistolario, egli presenta il Cristo come il “Figlio” in maniera esclusiva. Ma in alcuni passi tale figliolanza è trasferita a coloro che sono giunti alla fede attraverso il Battesimo, resi partecipi della novità di vita che essi ormai godono.

Nella stessa misura in cui il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù dell’Egitto per essere a tutti gli effetti il popolo libero e “figlio” di Dio, così anche i credenti hanno ottenuto la figliolanza di Dio nella pienezza dei tempi. Dio ha infatti inviato il proprio Figlio, “per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,5).

Così il credente, guidato dallo Spirito di Dio, può fare suo il grido del Figlio di Dio, rivolgendosi a Lui chiamandolo:

“Abbà, Padre!” (Gal 4,6; Rm 8,15).

La figliolanza adottiva fa sì che ogni cristiano possa partecipare dell’eredità ad essa collegata, “eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8,17), prendendo parte alle sofferenze del Cristo per poter godere della sua stessa gloria.

Lungi dall’essere un discorso puramente astratto, la nuova identità del cristiano-figlio ha conseguenze importanti per la sua esistenza.

In Fil 2,15, ad esempio, l’Apostolo invita i destinatari ad “essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa”, vivendo in maniera conforme allo status che essi hanno ricevuto per grazia.

È una grande consolazione per noi, connessa anche ad un grande impegno. Possiamo perdere tutto nella vita, ma non perdiamo mai la nostra figliolanza divina. In Cristo, Dio ci riconosce sempre come figli e, guardandoci, vede in noi i lineamenti del Figlio suo.

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Don Fabio Villani

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