I collaboratori dell’Abate (Capp. 21-31-65)

Abbiamo concluso di affrontare la sezione spirituale dei capitoli della regola compresi tra il 4 e il 7 e in un altro articolo abbiamo affrontato il codice liturgico, presentato dalla regola tra il capitolo 8 e il capitolo 20; trattiamo ora la terza parte della regola, quella che va dal capitolo 21 al capitolo 72; dovendo dare un titolo a questa sezione, la chiamiamo “capitolo disciplinare”.

L’abate

Nella mente di San Benedetto la costituzione organica del monastero poggia sul carisma dell’abate. Infatti all’abate è affidata la direzione ultima di tutte le cose del monastero, siano esse principali o secondarie, materiali o spirituali, il tutto sempre accompagnato dal consiglio dei fratelli, sia anziani sia giovani.
Ora, senza rinunciare alla responsabilità ultima e principale di quanto accade nel cenobio, proprio per l’alta responsabilità del suo ufficio, l’abate deve necessariamente condividere i suoi pesi con vari collaboratori. E allora di seguito tratteremo dei decani (RB 21), del cellerario o economo (RB 31) e del priore e del suo vice (RB 65).

Il decano

“Decanus-decano” (RB 21) era il nome con cui era chiamato nell’esercito romano chi era a capo di una “decania”, cioè un gruppo di dieci soldati, in cui era divisa la “centuria” con a capo un centurione. Con questo termine i monaci antichi non fanno riferimento all’esercito romano ma alla Scrittura, in particolar modo all’Esodo. San Benedetto fa riferimento per questa divisione a Girolamo, Agostino e Cassiano: i cenobiti egiziani erano ordinati a gruppi di dieci monaci sottoposti a un decano.

Nella Regola di San Benedetto l’incarico di decano è di più ampio respiro, più pedagogico e più spirituale. Nei primi versetti del capitolo 21 si capisce la necessità di istituire il Decano nel caso in cui una comunità sia alquanto numerosa, cioè non al di sotto di una ventina di membri. Era l’abate a costituire i decani e venivano scelti i monaci più stimati, di buona reputazione e di santa vita monastica, con la totale fiducia dell’abate, che con loro condivide i suoi ‘pesi’, compresa la responsabilità spirituale cioè insegnare le vie di Dio ai fratelli loro affidati.

Il cellelario

“Cellelarius” o cellelario (RB 31) è un termine che deriva da cella, usato nella Regola di san Benedetto con molti significati, in base al contesto; può designare ad esempio il dormitorio (RB 22,4), l’infermeria (RB36,7), la foresteria (RB 53,21), il noviziato (RB 58,5), l’abitazione del portinaio (RB 66,2). Nella parola “cellelario” la radice “cella” allude al magazzino delle provviste, alla dispensa. Il Santo Patriarca con il termine cellelarius (nei monasteri si dice oggi cellerario, camerlengo o economo) è il monaco a cui è affidata la cura dei beni materiali del monastero e che pensa a distribuirli ai fratelli e a quanti altri beneficiano del patrimonio del monastero: ospiti e poveri.

San Benedetto ne fa un personaggio molto importante, più dei decani, perché vuole dare molta più importanza alle relazioni comunitarie; è significativo che il capitolo dedicato a questa figura sia uno tra i più belli e importanti della regola, un vero e proprio piccolo trattato di spiritualità.

Il cellelario deve pensare ai beni temporali e il suo modo di agire deve generare armonia e pace nell’intera comunità. Il cellelario deve essere un padre per tutta la comunità, quindi deve preoccuparsi di tutto e di tutti, con una cura speciale per i più deboli: malati, fanciulli, ospiti e poveri. Una delle virtù che gli viene raccomandata è l’umiltà (vv. 7.13.16) che deve dimostrare nel non contristare i fratelli (v.6). Riguardo ai beni del monastero, il cellelario li considera come “vasi sacri dell’altare” (v.10) riprendendo un’idea molto viva nella tradizione monastica (è presente nella regola di San Basilio, le istituzioni di Cassiano); infatti, essendo il monastero la “casa di Dio” tutto ciò che contiene è dedicato al servizio di Dio, e quindi è sacro.

Il priore

Il Priore del monastero o prepositus (RB 65) è una figura affrontata in un capitolo spinoso, brusco, in cui il santo patriarca cambia la prospettiva, lo stile e il tono, diventa veemente e duro. San Benedetto definisce con energia i compiti del Priore, principalmente la riverenza e l’assoluta obbedienza all’abate (v. 16) e l’osservanza precisa della Regola (v.17), per poi iniziare a descrivere il processo di riprensione nel caso di un priore superbo (vv. 18-21).

Nonostante il pensiero di San Benedetto sulla figura del priore, storicamente tale sistema finì col prevalere su quello decanale. Perché? Perché oggi il “prepositus” delle Regola Benedettina si suole chiamarlo “priore” e, più precisamente, “priore claustrale” (nel caso in cui vi sia la presenza dell’abate) perché a lui è affidata la disciplina dell’intero monastero; è chiamato così per distinguerlo dal “priore conventuale” che è il superiore di un monastero sui iuris che non ha la dignità abbaziale.

Foto di cocoparisienne da Pixabay.

Uno sguardo d’insieme sui collaboratori

I principali collaboratori dell’abate, secondo quanto indicato nella regola benedettina, sono i tre appena descritti, ma ci sono anche altri officiali nel monastero: il maestro dei novizi, il portinaio, foresterario, sacrista, ecc… però l’importanza maggiore va sempre al cellelario, la cui figura morale è tratteggiata da San Benedetto con una singolare predilezione: un buon economo fidato, prudente, caritatevole, umile, libererà l’abate da una parte particolarmente dura delle sue responsabilità (quella materiale ed economica), in modo che egli possa dedicarsi pienamente al servizio spirituale dei fratelli a lui affidati.

Fra Matteo

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