Oggi ci mettiamo in ascolto della testimonianza di vita di fra Stefano Ramaioli che abbiamo conosciuto tramite il centro di Pastorale Giovanile Vocazionale dei frati minori cappuccini delle Marche (http://fraticapp.blogspot.com/p/fraternita-giovani.html).

La Parola di Dio: sostegno per la vita

È strano ripensare a quest’ultimo mese e raccontarlo: un mese di quarantena, perché positivi al COVID-19. In una parola descriverei questa esperienza così: intensa. Al risultato del primo tampone ho sentito un po’ d’amaro in bocca. Eppure un passo del Vangelo di Luca di qualche giorno prima riaffiorava con forza:

Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. (Lc 12,4)

Questa Parola mi ha sostenuto per i primi giorni, giorni strani e complicati: non potere vedere i miei fratelli, con cui avevo interagito un attimo prima, restare sigillati in una stanza che, per quanto grande abbastanza, non lo era per niente in confronto a fuori… insomma, quella che consideravo la normalità è stata stravolta da un evento inaspettato. Qualcosa che è capitato, più o meno spesso, a tutti. E viene spontanea una domanda: come reagire?

Foto di Andrew Neel da Pexels.

La Divina Provvidenza: una madre che non dimentica nessuno dei suoi figli

Il Signore è grande, e mi ha fatto ricordare una figura incontrata due anni fa, quella di Marthe Robin, mistica francese del secolo scorso. Inchiodata a un letto, a causa di un’encefalite, questa donna è riuscita a donare Dio a chiunque la incontrasse. Certo, io non potevo incontrare nessuno, ma i moderni mezzi di comunicazione mi hanno aiutato a scoprire una nuova modalità di incontro, tra noi frati e con gli altri, e in questo hanno aiutato molto.

Quello con cui mi sono scontrato di più è stata la paura, provocata dall’incertezza che questo virus porta nella vita di ciascuno. Quello che ho vissuto mi ha dimostrato che non bisogna avere paura. Un esempio su tutti: non passava giorno (e capita tutt’ora) che la gente non venisse a portarci qualcosa. In ogni momento la Provvidenza di Dio Padre si manifestava per ricordarci che non siamo dimenticati:

Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. (Is 49, 14-15)

Se Lui non si dimentica di me, come posso temere la realtà che vivo? Come posso smettere di gioire per ogni giorno che mi dona da vivere qui?

Foto di Aleksandr Balandin da Pexels.

Fidarsi ad occhi chiusi di Dio Padre

Un’altra tappa di questa prova è stata segnata dalla solennità di Tutti i Santi. Anche in questa occasione altre sue figure si sono accostate alla mia porta: Chiara Corbella e suor Clare Crockett. Riguardo alla prima, proprio quel giorno finivo di leggere il libro “Siamo nati e non moriremo mai più”, la descrizione esperienziale di come vive un figlio di Dio, che riconosce l’amore del Padre ovunque, anche negli eventi più tragici della vita, che si trasformano in momenti di incontro reale, palpabile con il Suo amore e che portano ad avere fiducia in Lui, fino all’abbandono totale della propria vita nelle Sue mani.

Ed ecco che mi viene incontro suor Clare, delle Serve del Focolare della Madre, con il suo motto: «O todo o nada», o tutto o niente (titolo anche del film-documentario sulla sua vita, reperibile su YouTube e che consiglio a tutti di guardare: https://www.youtube.com/watch?v=46aMtH0oe34). Contemplare la sua radicalità, come ha affondato le radici della sua vita nel terreno fertile che è Dio, è stato per me un esempio illuminante per vivere il confinamento ancorati a Dio, in un momento in cui le forze umane potevano cominciare a cedere. Tutta questa grazia strabordante mi ha permesso di affrontare l’esito del secondo tampone con la stessa fiducia: ancora positivo!

Foto da Pexels.

Ancora una volta l’intercessione dei santi non è mancata: da una parte l’immagine della spoliazione di S. Francesco, e poi l’annuncio di Gesù a Pietro:

In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi. (Gv 21,18)

Vedo queste due spogliazioni unite. Per Francesco è un atto volontario, per Pietro involontario, ma ciò che li muove è lo stesso: affermare l’amore del Padre:

Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”. (S. Bonaventura, Legenda maior)

Interessante vedere come siano le situazioni di emergenza a farci ricordare la nostra vera identità: figli amati da Dio Padre che ci dona la vita, e lo fa in tanti modi. Il nostro compito è quello di accoglierla e di lasciarci fare. Si tratta di accogliere Gesù Cristo Via, Verità e Vita, che ci permette di vivere come Lui, perché ci ha donato il Suo Spirito, che guida i nostri passi.

La quarantena è durata ancora una settimana, in cui mi è stata donata la frase che dà il titolo a questa condivisione: la vita chiama vita. Un’amica mi raccontava che, all’ottavo mese di gravidanza, si è accorta di come il pancione attirasse lo sguardo di tutti, anche di chi sosteneva di non volere figli. La vita, una volta accolta, dona luce e le tenebre svaniscono. A volte siamo solo noi che ci concentriamo su un punto nero, non accorgendoci che il resto del foglio è bianco.

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