Nonostante sia conosciuto come il grande Apostolo ed evangelizzatore, Paolo, come ogni cristiano, è stato anche un uomo della preghiera, alla continua ricerca di un contatto personale con Dio, attraverso l’incontro con Cristo.

La prima e l’ultima immagine con cui ci viene descritto negli Atti degli Apostoli lo ritraggono in preghiera. Dopo l’evento di Damasco, a lui viene inviato Anania, con l’indicazione che Paolo si trova in casa e “sta pregando” (Atti, 9,11), preghiera che diviene anche previsione di quell’incontro con cui, attraverso l’imposizione delle mani, gli sarà ridonata la vista. Anche all’arrivo a Roma, alla visione dei fratelli che lo accolgono, egli “rese grazie a Dio e prese coraggio” (Atti 28,15). Perfino il racconto apocrifo del suo martirio, descrive così il momento della sua morte: “In piedi, rivolto verso Oriente, Paolo pregò a lungo. Dopo aver protratto la preghiera intrattenendosi in ebraico con i padri, tese il collo senza proferire parola”.

Dalla preghiera, imparata in seno al giudaismo, facendo proprie le parole dei salmi e della tradizione del popolo di Dio, egli attinge la forza per affrontare le vicissitudini del suo ministero e, da questo prolungato contatto con Dio, riceve forza e consolazione. Ce lo testimonia lui stesso nelle sue lettere, con molte pagine che si trasformano in preghiera di lode, di ringraziamento e di supplica. Come Gesù stesso diviene modello di preghiera per i suoi discepoli nel momento stesso in cui prega (cf. Lc 11,1), così anche Paolo ci parla della preghiera prima di tutto con il semplice fatto di mettersi a pregare. Valgono anche in questo caso le parole dell’Apostolo: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1).

don Fabio Villani

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