Àlzati, vento del settentrione, vieni,
vieni vento del meridione,
soffia nel mio giardino,
si effondano i suoi aromi.
Venga l’amato mio nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.

Ct 4, 16

Lectio di Gv 20,1-9

Un inno di S. Efrem per il Sabato santo canta:

Sentinelle, rimanete deste,
cantate a piena voce, cantate!
Il giovane Leone è prigioniero
(Gn 49,9; Ap 5,5): chi potrebbe dormire?

Queste parole ben commentano il vangelo che la liturgia propone per il mattino di Pasqua.
Il sabato è terminato e sebbene sia ancora buio, non è più possibile attendere: Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato (Ct 3,2). Sono le parole della sposa del Cantico, potrebbero essere le parole della Maddalena, che, sentinella innamorata, è rimasta desta, ha vegliato ed infine alle prime luci del sabato si è incamminata verso il sepolcro per onorare il Signore, ma non ha trovato il corpo del Diletto.

Dal giardino in cui si trova il sepolcro (cfr. Gv 19,41-42) inizia allora la sua corsa per raggiungere i discepoli, che verosimilmente si sono rifugiati in quella sala al piano superiore dove avevano mangiato la Pasqua (cfr. Lc 22,8ss) e dove il Maestro aveva lavato loro i piedi, istituendo il memoriale dell’Ultima Cena (cfr. Gv 13,1ss), e che, dopo la visita del Risorto (cfr. Gv 20, 19ss), diverrà il luogo di riunione della prima comunità cristiana, radunata dallo Spirito (cfr. At 1,13; 2,1-2).

Un percorso non breve quello della Maddalena, compiuto nella notte all’inizio del nuovo giorno dopo il sabato (non dimentichiamo che per l’uomo biblico il giorno inizia non con l’aurora, ma con i vespri: E fu sera e fu mattina: giorno primo, dice Gn 1,5). E se uno dei dodici aveva lasciato il luogo della comunione e del sacrificio rinunciando all’amore ed entrando così nella notte (cfr. Gv 13,30), ora questa donna non teme di inoltrarsi nella tenebra e di percorrere più volte in entrambe le direzioni il cammino che dalla città porta al Golgota fuori le mura (cfr. Eb 13,12ss).
Di questo brano evangelico, così ricco, come lo è sempre la Sacra Scrittura, condivido piccole meditazioni intorno ad alcune parole, figure, che più hanno toccato e infiammato il cuore perché ci sia dato di gustarne il sapore: l’immagine del correre, dell’amore, del giardino.

La corsa, ovvero la fretta dell’amore

Il dileggio o forse la pietà per il condannato avevano spinto uno dei presenti a correre a prendere una spugna per dare da bere a Gesù (cfr. Mt 27,48). Ma è l’amore – l’amor che move il sole e l’altre stelle – a muovere, a far correre. Così le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli (Mt 28,8); Paolo, quale atleta disciplinato, e con lui ogni discepolo del Signore, correrà per divenire partecipe del Vangelo (cfr. 1Cor 9,23ss; Eb 12,1) e si affaticherà e pregherà perché la Parola stessa corra e sia glorificata (cfr. 2Tess 3,1). La Parola corre, ha fretta di raggiungere ogni uomo per introdurlo nella sua gioia che salva!
Corre la Maddalena, corrono insieme Pietro e il discepolo che Gesù amava – e in lui tutti siamo rappresentati; corse incontro al figlio smarrito e ritrovato quel padre mosso dalle proprie viscere di misericordia (cfr. Lc 15, 20), a dire che, se alle volte ci è dato di correre, è perché raggiunti da un amore che già ha corso per cercarci; un amore che ci fa ardere e ci spinge e che sempre nuovamente va mendicato: Trascinami con te, corriamo! (Ct 1,4). Sì, vorremmo correre, ma abbiamo bisogno di essere trascinati, attratti dall’amore. Per questo non è privo di nota che sia il discepolo amato a correre avanti e per primo giungere al sepolcro. Perché l’amore precorre, precede, supera correndo.

Lo contempliamo in Zaccheo, che corre avanti desideroso di vedere Gesù (cfr. Lc 19,1ss). Non fraintendiamo però la Scrittura. Non è il desiderio di Zaccheo a meritarsi e procurarsi di accogliere in casa sua Gesù. Esso è già il frutto di quell’amore che si abbassò per cercare e salvare ciò che era perduto. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi, e noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (1Gv 4,10.19) e questo non una volta all’inizio, ma sempre.

Il discepolo che Gesù amava di amore di filía (Gv 20,2) e di agápe (Gv 13,23; 19,26; 21,7.20), è lui che può precedere Pietro nella corsa dietro all’Amato e annunciargli È il Signore! Ormai è capace di riconoscerne i tratti e i passi: Un rumore! La voce del mio amato che bussa (Ct 5,2). La realtà si dischiude in tutta la sua ampiezza a colui che si è coricato sul petto di Gesù, che sa di poter riposare stabilmente nel suo seno, nel suo cuore (in sinu Jesu, ἐν τῷ κόλπῳ di Gv 13,23), partecipando così della sua vita rivolta dall’eternità al seno del Padre (in sinum Patris, εἰς τὸν κóλπον di Gv 1,18).

Colui che ha potuto ascoltare il battito umano del cuore di Dio, la sua grande misericordia per gli uomini, ora vede e crede: i suoi occhi trasfigurati non soltanto vedono, ma vedono-credono, scorgono e contemplano cioè nella realtà visibile, finanche nella sua materialità, le orme dell’invisibile, del divino che ivi si nasconde, dell’Amato che è sceso nel giardino del mondo e dei cuori umani.
Di questa corsa che non ammette ritardi, che può divenire la vita nostra quando si lasci afferrare dall’amore, permettetemi di parlarvi con le parole di Dante, a proposito di Bernardo, primo compagno di Francesco (Paradiso, Canto XI, 76-81) e con quelle di Chiara (2LAg 11-13; 4LAg 28-32):

La loro concordia e i lor lieti sembianti
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno essere cagion di pensier santi;
tanto che ‘l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.

Dante, Par. XI, 76-81

Memore del tuo proposito, come una seconda Rachele sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo ma con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi, così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine.
Lasciati dunque accendere sempre più fortemente da questo ardore di carità, o regina del Re celeste! Contemplando ancora le indicibili sue delizie, ricchezze e onori eterni e sospirando per l’eccessivo desiderio e amore del cuore, grida: Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguenti o sposo celeste! Correrò e non verrò meno, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la destra felicemente mi abbracci e tu mi baci col felicissimo bacio della tua bocca.

Santa Chiara d’Assisi

Sono venuto nel mio giardino (Ct 5,1)

Nel suo racconto della Passione Giovanni ci ha parlato spesso di un giardino, quello al di là del torrente Cedron, dove Gesù amava ritirarsi coi discepoli e che diverrà il luogo del tradimento e dell’arresto (cfr. Gv 18,1.26) e quello ove Gesù fu crocifisso e deposto in un sepolcro nuovo (cfr. Gv 19,41). È a questo giardino che accorrono i due discepoli dietro alla Maddalena. Il Risorto le apparirà proprio qui, nel giardino, chiamandola a quel dialogo d’amore che il peccato aveva spezzato. Lei figura dell’umanità sposa. Lui piccolo granello di senape, che il Padre prese e gettò nel giardino del mondo (cfr. Lc 13,18-19), perché esso tornasse a essere luogo di comunione e di incontro.
La realtà è di nuovo quel giardino in cui il Signore Dio passeggiava alla brezza del giorno conversando con l’uomo, il quale non si nasconde più al suo sguardo e non teme di ascoltare la sua voce (cfr. Gn 3). L’ha compiuto il Figlio, quando nudo rimase sul patibolo, obbediente al Padre per amore fino alla morte di croce, fino alla fine, generandosi, vero Adamo, una sposa che gli corrispondesse, giardino chiuso e fontana sigillata (Ct 4,12).
E se tutto ebbe inizio quando il Signore Dio piantò un giardino e vi collocò l’uomo, perché lo coltivasse nell’obbedienza confidente (cfr. Gn 2,8), comprendiamo bene perché la Rivelazione, inauguratasi con l’immagine di un giardino, trovi la sua pienezza e compimento nell’Uomo nuovo Gesù. Egli scese nel giardino quando prese la carne della nostra fragilità (cfr. Ct 4,15-16; 5,1; 6,2.11) e in un giardino fu fatto peccato per riportare alla comunione perduta l’umanità.
Allora venga l’amato mio nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti (Ct 4,16) e ci riveli il Padre.

Rallegratevi! Il Signore è veramente risorto!

Sr. Chiara Grazia, Monastero SS. Trinità, Gubbio

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