Commento al vangelo della V domenica di Pasqua

«In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita. Esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni» (Ap. 22, 2)

La vite vera

«Io sono la vite vera, il Padre mio è l’agricoltore». Così comincia il vangelo di questa V domenica di Pasqua. La sconcertante bellezza di un Figlio che abbandona tutta la sua vita nelle mani del buon georgòs perché in Lui ogni suo tralcio fiorisca, riporta il cuore dell’uomo là dove tutto ebbe inizio, nel giardino dell’Eden. È scritto, infatti, in Gen. 2, 8-9: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male».

Nella superbia

Strisciando nell’alleanza fra il Creatore e la sua creatura più bella, il serpente sfaldò la miracolosa unione fra Dio e l’uomo: Eva e Adamo, innalzandosi nella superbia, disubbidiscono al Signore e mangiano dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dice allora Dio (Gen. 3, 22): «Adamo è divenuto come uno di noi nel conoscere il bene e il male, che ora non stenda la mano e prenda dell’albero della vita e ne mangi e viva in eterno». Scivolando via dalla premurosa cura di Dio, Adamo comincia a lavorare la terra, esiliato dal Paradiso Terrestre.

Ora ritorniamo al giardino

Foto di alohamalakhov da Pixabay

Eppure la storia dell’umanità non si compie con l’esilio, ma inizia e si conclude con la vita eterna: l’albero della vita è Cristo-vite, eternità del nostro essere, compimento di ogni nostro istante. Soltanto percorrendo la sua Via, possiamo compiere all’indietro il viaggio che ci ha condotto nell’esilio, ritornare alle sponde del Paradiso e ora stendere la mano e prendere del Frutto della Vita. Membra vive del suo Corpo, rinvigoriti dallo scorrere delle acque spirituali, il nostro cuore ricorda la voce di Dio che un tempo ci chiamava pieno di gioia, passeggiando nel giardino, e accarezzava l’anima con la verità della sua promessa d’amore.

L’albero della croce

Tralci della vite vera, i giusti formeranno la Gerusalemme celeste e saranno immagine dell’uomo descritto in Sal. 1, 2-3, colui «il cui diletto è nella legge del Signore, e su quella legge medita giorno e notte. Egli sarà come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto a suo tempo, e il cui fogliame non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà». Nelle mani del divino agricoltore, innestati nella Verità del Verbo, il nostro spirito fiorisce e si dona gratuitamente, come gratuitamente ha ricevuto. In un amore crocifisso e risorto, in un amore che stende la mano, trova compimento la storia della creazione: l’albero della vita è albero della croce. Come si legge nella praefatio alla Liturgia dell’Esaltazione della Santa Croce:

«Nell’albero della Croce tu, o Dio, hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto, per Cristo nostro Signore».

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