La prospettiva della morte ti dà una luce sulle scelte da prendere nella vita. Se una situazione la guardi mentre ti sta capitando, di getto avrai una certa reazione; ma se la guardi da dentro la tomba, se la guardi dagli ultimi giorni della tua vita, dal tuo letto di morte, allora essa acquisirà, nella maggior parte dei casi, un altro valore e ti verrà naturale, se sai ascoltare la tua coscienza, provare a reagire in modo completamente diverso.
Con queste parole, che ho parafrasato, ma che potete leggere qui, il cardinal Raniero Cantalamessa condivideva le sue meditazioni per l’Avvento 2020.
Il Vangelo odierno, è vero, parla d’amore, eppure, poco dopo aver comandato «che ci amiamo gli uni gli altri», Gesù ha dato letteralmente la sua vita.
Allora mi chiedo: non sarà che l’altra faccia dell’amore, è proprio la morte? Non sarà che aveva ragione Leopardi, quando diceva che Amore e Morte son «fratelli, a un tempo stesso»? Non sarà che proprio questo temuto mostro della morte, ci insegna un po’ anche ad amare?
Di eventi nella vita ne capitano a cascate: un giorno sei tanto felice che ti potrebbero insultare e benediresti comunque il Padre e pure chi ti ha insultato; il giorno dopo ti basta una parola poco poco fuori posto per chiuderti a riccio, punzecchiare chiunque si avvicini e tenere alla larga anche chi vorrebbe solo farti una carezza.
Proprio per questo modo – se volete anche un po’ bipolare – di reagire, ogni tanto mi fa davvero bene domandarmi: ma io cosa voglio che resti? Voglio davvero che restino le arrabbiature o le delusioni? Cosa resterà di me?
Resteranno le macerie di una relazione distrutta perché ho voluto aver ragione? Oppure resterà la gioia per un’amicizia salvata, al di là del torto e della ragione? Che ci voglio fare con questa vita: tenermela stretta o donarla, come se davvero non ci fosse un domani?
Talvolta amare vuol dire andare contro la propria delusione, contro la fatica, contro il proprio sentire, contro se stessi; anzi non contro, ma oltre. Talvolta amare è andare proprio oltre la propria idea di aver ragione, oltre il proprio sentire e pensare, oltre la fatica, oltre la delusione, oltre se stessi. Oltre. Un avverbio spettacolare che fa proprio pensare a un qualcosa che sta “al di là”, e dunque anche un po’ al “Paradiso”.
E allora vi propongo un piccolo esercizio. Pensate a una situazione o a una persona difficile da amare, e provate a descriverla – per quanto possibile – usando questo prototipo di frase:
Amare oltre … vuol dire Paradiso.
Non so se questa frase da riempire potrà confortarci o illuminare gli imprevisti, le situazioni faticose e indesiderate, magari aiutandoci a scorgere in controluce delle irripetibili occasioni d’amore, delle possibilità per ‘mettere un piede’ in Paradiso.
Io ci voglio provare e vi lascio qui sotto i miei amare oltre:
1. Amare oltre quello che sento sul momento (che potrebbe essere anche una repulsione sfrenata e voglia di fuggire) vuol dire Paradiso.
2. Amare oltre quella ferita che, se la guardo, mi torna in mente come me la sono procurata o chi me l’ha procurata e mi sale la tristezza, vuol dire Paradiso.
Benedetta