Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano.
(Mt 5, 44)
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
(Gv 15, 13)

Amare i nemici

Mi ha sempre colpito come Gesù dica queste due frasi il cui significato complessivo è difficile da cogliere. Da una parte dovremmo amare i nemici, ma dall’altra dare la vita per gli amici. Che tipo di amore è quello per il nemico, se la vita si dà per gli amici? Secondo me, la risposta secondo cui Dio non ha nemici non basta. Non basta dire che siccome Dio non ha nemici, tutti per lui sono amici e quindi dà la vita per ciascuno. Per quanto vero, ciò semplifica troppo la realtà e astrae le parole di Gesù dal contesto. La risposta: “Dio non ha nemici” è una risposta di concetto, non di esperienza. L’esperienza dice una cosa diversa: che Gesù non era solamente vero Dio, ma anche vero uomo.

Amare il nemico è certamente una cosa da Dio. Chi è in grado di amare chi ti fa del male? Non chi fa del male, ma chi “ti” fa del male, cioè che fa del male “a te”. Come sostituire il perdono alla vendetta, l’accoglienza al rancore, la vicinanza al disprezzo, la preghiera allo spregio, l’affetto al rifiuto? Non è certamente una cosa “umana”, nel senso che nessuno ha la forza da se stesso di sostituire l’amore all’odio sempre, in ogni circostanza, qualunque cosa accada, nelle mille difficoltà della vita.

Non ci vuole uno psicologo per capire che essere così aperti, di fronte alla realtà e all’altro, porta a ferirsi e a stare male. E non c’è neppure da nascondersi che la vendetta porta con sé, sul momento, a livello psicologico, un’euforia e una soddisfazione che l’amore non dà. Da ciò consegue che se siamo capaci di amare il nemico e se da questo amore traiamo gioia, tale gioia è una gioia spirituale: non una gioia qualunque ma una gioia piena, ed è Dio stesso che ci fa questo dono.

Dare la vita per gli amici

Questo però è solo un aspetto di ciò che Gesù ci dona. Egli dice anche, appunto, che la vita si dona per gli amici. Gesù di amici ne ha avuti, e tanti. Gli apostoli ad esempio. O Marta, Maria e Lazzaro a Betania. Un altro può essere Zaccheo. Chissà a casa di quante persone Gesù si è fermato nel corso dei suoi viaggi, quanti ha conosciuto, con quanti ha stretto amicizia. E poi ha detto: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.” (Gv 13, 34).

Gesù ha detto “amatevi gli uni gli altri”. Non “ama”, ma “amatevi”. Cristo rivela il suo amore e vive con noi in questo scambio di amore in cui io amo e sono amato. Non in questo amare, ma in questo amarsi gli uni gli altri. Gesù allontana la visione sacrificale dell’amore e la avvicina a quella del dono. A sacrificarsi è stato lui, e questo è sufficiente. Credere di doverci sacrificare anche noi allo stesso modo è egoismo e idolatria.
Certo, ad alcuni viene chiesto, ma a pochissimi.

Gesù vuole il dono della reciprocità dell’amore, ed è qui che soprattutto si manifesta. Nessuno sforzo, nessun dovere. Solo amore. Gli uni per gli altri. Quando ci si ama lui è lì, ci viene incontro e ci rassicura, perché ha già preparato un posto per tutti noi.

Il sacramento dell’amicizia

L’amicizia che viveva Gesù era questa e la medesima esperienza egli la propone a tutti noi. Per quanto possa sembrare strano, la componente più importante dell’amicizia di Gesù è l’esperienza del peccato, cioè il saper andare incontro, il perdonare, l’accogliere, ma anche il saper correggere. Per saper correggere è necessaria una grande sapienza, perché nella correzione si potrebbe perdere l’amico e bisogna imparare talvolta ad aspettare, a farsi da parte un momento, ad accogliere gli errori per correggerli con l’esempio e lo stare accanto.
Nel farsi correggere, serve altrettanta sapienza, perché è necessario saper discernere cosa si è fatto bene e cosa male, e umiltà, per accogliere la critica e cambiare. L’amicizia, in determinate circostanze può essere occasione di conversione importante quanto il matrimonio.
Per questo, e per i motivi biblici legati alla figura di Cristo, l’amicizia è un sacramento e romperla un sacrilegio che troppo facilmente commettiamo e che troppo agilmente giustifichiamo senza chiedere perdono o fare autocritica. Allo stesso modo, è richiesto un grande coraggio nel non seguire un amico nei suoi errori e nel rimanere fermi nella verità anche a costo di perderlo. L’amicizia è fatta di equilibri che vanno rispettati e nell’umanità di Gesù vediamo il modo migliore di farlo e di vivere questo legame, che da un certo punto di vista limita, ma dall’altro libera.

L’amicizia come Paradiso

Dice Marko I. Rupnik in Alla mensa di Betania che “la vera amicizia, quella che ci farà superare la morte, ci ha già raggiunti nel battesimo” (p. 88). La vera amicizia è l’amicizia di Cristo e fa superare la morte. Significa che ogni vera amicizia fa superare la morte perché fa vivere Cristo e l’esperienza che Cristo ci propone. Dare la vita per gli amici è quel dono di reciprocità che Gesù ha vissuto con i suoi, quel Paradiso che egli fece vivere a tutti e che, nella gioia, li fece rattristare perché alla sua ascensione non lo avrebbero più avuto vicino come un tempo.
Gesù nella sua storia ci mostra che l’amicizia è dare la vita per gli amici perché superamento della morte, è vivere la vita vera in quell’istante lì con quelle persone lì. Ripensiamo all’episodio del buon ladrone e alla morte di Gesù. Il buon ladrone fu l’ultimo amico che Gesù incontrò nella sua vita terrena. Un peccatore pentito che Gesù perdonò e portò con sé in Paradiso, perché nella presenza di Gesù egli aveva già riconosciuto, vissuto il Paradiso.

Nell’uomo sofferente Gesù ci mostra Dio, nel Dio che muore Gesù ci mostra l’uomo. Andò esattamente così, perché il buon ladrone vide Dio in Gesù, Dio nell’uomo sofferente. E nel vedere questo Dio che muore, noi vediamo l’uomo, cioè la nostra vera identità, il vero senso della nostra vita e ciò cui realmente siamo destinati: amare sopra ogni cosa, nemici compresi, e pregustare nell’amicizia quel Paradiso che il Padre ci donerà dopo la morte.

Giuseppe Scattolini

Qui il rimando alla riflessione su Cristo sposo.

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