Alcune riflessioni sulla poesia John Dillinger e le chasseur maudit

Con gioia accogliamo fra le fila dei nostri scrittori, la penna di un nuovo collaboratore, Don Giuseppe Bianchini. Appassionato di letteratura e di poesia, ci offrirà, nel corso dei prossimi articoli per la rubrica Scribi del Mistero, alcune riflessioni sui versi di Bukowski. Buona lettura!

Bukowski

Iniziare a parlare di poesia partendo dalla biografia dell’autore avverte di un sopito retaggio di scuola; agée peraltro. Ma dato il personaggio, vita e poetica coincidono in maniera così adesa che non si scorgono i confini tra arte figurativa (la poesia tra tutte le arti letterarie è più figurativa che narrativa) e manifestazioni umane.

Charles Bukowski è stato l’emblema del disadattato sociale, con tutto il cursus honorum del caso: straniero, figlio di padre violento, adolescente difficile, colpito da acne devastante al volto, alcolista precoce, il tutto dentro (e compreso) l’incalcolabile genialità di quest’uomo, maestro di tante generazioni di scrittori, pensatori, ma soprattutto poeti. Io stesso, appassionato di letture e tentativamente anche scribacchino, ho maturato dalla sua conoscenza, immagini e modi descrittivi.

Per sopire l’abisso

Foto di Dorothe da Pixabay

È stato un ubriacone, come anche ha sempre definito sé stesso, forse per tentare di sopire l’abisso del suo cuore umano. Ogni uomo è un abisso, ma poi circostanze e qualità diverse fanno sì che la maggior parte degli uomini scendano a patti con la tremenda sete di vivere. Lo descrive bene nella lirica Un uccello azzurro, in pochi versi una vita di tensione interiore (clicca qui per leggere la poesia).

John Dillinger e le chasseur maudit

Il titolo

La poesia che guarderemo nel corso di questi articoli, in alcune circoscritte parti, è una delle sue più conosciute, dal titolo già di per sé molto complesso John Dillinger e le chasseur maudit; nello stesso titolo il nome di un noto gangster americano degli anni del Proibizionismo ed un’opera musicale di César Franck. Non è accertabile se le due parti del titolo siano in rapporto di antitesi assoluta, della serie, il male e il bene o la bassezza e l’elevazione umana; oppure se sono magari legate in una certa continuità significativa, o ancora se esse rappresentino nell’intento di Bukowski poli di una unità duale. L’esegesi e l’ermeneutica del testo, pur affascinanti, però potrebbero portarci molto distanti dalla necessità di questo articolo che è invece introdurci alla bellezza dell’opera del nostro autore e al cui approfondimento invitiamo in primis. Leggiamola insieme.

È davvero un peccato e non sta bene, ma chi se ne frega:
le donne mi ricordano capelli nell’acquaio, le donne mi
ricordano intestini,
e vesciche e movimenti di muscoli escretori; è anche una disgrazia
che coni dei gelati, bebè, le valvole meccaniche,
i plagiostomi,
palmizi
orme nel corridoio...tutti mi infondano la gelida calma
della pietra tombale; forse il solo rifugio è nell’udire
che sono esistiti altri uomini disperati:
Dillinger, Rimbaud, Villon; Babyface Nelson, Seneca, Van Gogh,
o donne disperate: lottatrici, infermiere, domestiche,
puttane
poetesse...sebbene,
preparare i cubetti di ghiaccio credo proprio che sia
importante
o un topo che annusa una lattina di birra vuota -
due vuote cavità che si confrontano,
o il mare notturno inchiodato di navi sporche
che t’entrano con le luci nella cauta ragnatela del cervello,
con le loro luci salate
che ti sfiorano e ti lasciano
per il più solido amore di un’ India;
o coprire lunghe distanze senza ragione
stordito dal sonno attraverso finestrini aperti
che ti gonfiano la camicia come un uccello impaurito,
e sempre i semafori, sempre rossi,
fuoco notturno e disfatta, la disfatta...
scorpioni, rottami, pesi da portare:
ex lavori, ex mogli, ex facce, ex vite,
Beethoven morto stecchito nella tomba;
carriole rosse, sì, forse,
o una lettera dall'Inferno firmata dal demonio
o due bravi ragazzi che se le danno di santa ragione
in qualche stadio pieno di fumo urlante,
ma il più delle volte me ne sbatto davvero, qui seduto
la bocca piena di denti cariati,
qui seduto a leggere Herrick e Spencer e
Marvell e Hopkins e Bronte (Emily, oggi);
che ascolto La strega di Dvorak
o Le Chasseur Maudit di Franck,
me ne sbatto davvero, ed è un peccato:
ho ricevuto lettere da un giovane poeta
(giovanissimo, sembra) che mi dice
che un giorno sarò certamente riconosciuto
come uno dei migliori poeti al mondo. Poeta!
una malversazione: oggi ho camminato nel sole e nelle strade
di questa città: senza vedere nulla, senza imparare nulla,
senza essere nulla, e tornando alla mia stanza
ho incontrato una vecchia che sorrideva di un sorriso orribile;
era già morta, e dappertutto ricordavo fili:
telefonici, elettrici, fili per visi elettrici
chiusi nel vetro come pesci rossi e sorridenti,
e gli uccelli erano spariti, nessuno degli uccelli voleva un filo
o il sorriso del filo
e ho chiuso la porta di casa (finalmente)
ma oltre le finestre era lo stesso:
una tromba suonò, qualcuno rise, l’acqua corse in cesso,
e stranamente allora
pensai a tutti i cavalli numerati,
che sono passati tra le urla,
passati come Socrate, passati come Lorca,
come Chatterton...
mi piace immaginare che la morte non avrà troppa
importanza
se non per un problema di smaltimento, un problema
come lo scarico di rifiuti,
e anche se ho tenuto le lettere del giovane poeta,
non credo in esse
ma come i palmizi
malati
e il tramonto del sole
ogni tanto le guardo.

L’inutilità del tutto-esistente

Ad una prima lettura, la poesia, già dal verso iniziale, apparentemente è un inno all’inutilità del tutto-esistente, È davvero un peccato e non sta bene, ma chi se ne frega. Il v. 1 si chiude con una presa di coscienza e di distanza, soprattutto. Non la distanza aristocratica di chi non appartiene al mondo o ritiene di non appartenervi; piuttosto descrive l’atto del poetare, il momento misterioso dell’emersione, del mai esauribile canto eterno del cuore umano e che pone il genio in una epoké immanente. È l’avvenimento dello stupore, magari amaro, magari sofferto, magari spiacevole.

Io sono parte di questa inutilità, potrebbe dire prosaicamente Bukowski, per poi proseguire con un’elencazione di enti ai quali l’autore applica la sua cruda riflessione/constatazione. Ma da dove procede l’amara costatazione dell’inutilità?

A mercoledì, per la lettura del prosieguo!

Don Giuseppe Bianchini

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