Se in ogni giorno della vita di un cristiano, come in quella di tutti gli uomini, si concretizzasse la voce interiore della coscienza, quale sarebbe la prima e più importante domanda che l’anima porrebbe a se stessa? In questo immaginario (ma non troppo) dialogo con il suo essere, l’anima si chiederebbe: cosa aspetti? Cosa desideri? A cosa tendi?

La spinta propulsiva di ogni azione umana parte dalla volontà di una coscienza interiore. Essa cerca di concretizzare se stessa per conferire senso ad un’esistenza che le appartiene soltanto in quanto dono di Dio. L’anima vuole trovare una risposta alle sue domande, cerca in ogni istante di scoprire una verità che nel profondo già possiede.

In questo breve percorso, vorrei cercare di offrire concretezza “letteraria” a quella che agli occhi di ogni cristiano sembra la più scontata e, forse, irraggiungibile risposta alle domande sopra esposte. L’anima cerca il suo principio e la sua fine, cerca Dio. Cerca con tutte le sue forze di vederlo, di sentirlo, di percepire il Suo Essere, perché sa che soltanto in Lui sarà ed è la sua felicità.

Numerose sono le trasposizioni letterarie dell’esperienza mistica della visione di Dio che potrebbero essere portate ad esempio. Molto fitta è la consistenza della simbologia che il mistico utilizza nel racconto.

Vorrei, però, riportare due visioni: la teofania del primo capitolo del profeta Ezechiele e la visione mistica trascritta dalla santa Ildegarda di Bingen (1098-1179) nel suo Liber divinorum operum.

All’inizio della visione, Ezechiele vede quattro esseri animati: questi hanno fattezze d’uomo, di toro, di leone, di aquila. Accanto ad ognuno, Ezechiele vede una ruota che si alza e si muove ovunque lo Spirito la sospinga. Sopra le loro teste si apre il firmamento e in esso appare una pietra, come di zaffiro, che si erge alla stregua di un trono. Sopra questo appare ad Ezechiele una figura “come di uomo”, circondata dallo splendore. Così appare ad Ezechiele la “gloria del Signore”.

 

Allo stesso modo, nella parte iniziale del Liber divinorum operum, Ildegarda descrive la visione della gloria di Dio.

Le appare la bella e meravigliosa immagine dalla forma quasi di uomo le cui fattezze sono di tanta bellezza e splendore che la santa avrebbe potuto più facilmente fissare ad occhi nudi il sole.

In entrambe le immagini profetiche compaiono due elementi fondamentali.

1) Lo “splendore”, reso nel testo greco del libro di Ezechiele con la parola φέγγος (féngos) e nel testo latino di Ildegarda con la corrispondente parola claritas.

2) La “figura umana”, che in Ezechiele recita εἶδος ἀνθρώπου (eìdos anthròpou, “aspetto d’uomo”) e nel latino di Ildegarda, hominis formam.

La differenza che intercorre fra le due visioni sembra essere incarnata soltanto dall’assenza in Ildegarda delle quattro figure descritte all’inizio del racconto biblico. Queste rappresentano gli spiriti contemplativi che si nutrono eternamente della visione e percezione del loro Creatore. Più avanti, nell’opera della mistica, una voce dal cielo le spiega il significato profondo della visione, dicendole:

Il fatto che vedi, come al centro del cielo australe una bella e mirabile immagine nel mistero di Dio, simile a una figura umana, significa che nella forza dell’eterna divinità, bella nella sua elezione e ammirabile nei doni dei segreti del padre supremo è la carità ed essa svela l’uomo poiché, quando il Figlio di Dio si rivestì di carne, nel suo essere carità riscattò l’uomo perduto. Per questa ragione il suo volto è di tanta bellezza e chiarore che potresti fissare la luce del sole più facilmente di essa.

La carità “svela” l’uomo e rende esplicito il significato dell’esistenza umana come anelito all’immagine di Dio. La carità stessa, infatti, è luce della visione, figura ed essenza suprema dell’incarnazione.

L’immagine di Dio, dunque, in entrambe le esperienze mistiche, si concretizza attraverso l’immagine dell’uomo che abbandona e affida la sua vita a Colui che, soltanto, potrà dare forma ad una esistenza piena e vera.

Senza più dubbi, ora, l’anima, chiedendo a se stessa “a cosa aneli?”, risponderà: “anelo alla carità”.

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