Che gloria è questa? è una meditazione a partire dal Vangelo di Giovanni, capitolo tredicesimo.

L’esordio del Vangelo odierno di Giovanni è come una fotografia: siamo nel cenacolo, giusto un momento dopo il tradimento di Giuda. Infatti il Vangelo inizia così: “Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito” (Gv 13, 31 – 32).

Per Gesù è un momento doloroso, forse tra i più dolorosi e tragici della Passione, Giuda, uno dei suoi amici, uno di coloro che lui aveva scelto, ha deciso di tradirlo. La scena lo presenta come assente, era appena uscito dal cenacolo dove fino a pochi minuti prima avevano celebrato la Pasqua e sta per consegnare il Figlio dell’uomo ai suoi uccisori per trenta denari. Gesù, consapevole di tutto ciò, proprio in questo istante drammatico pronuncia per ben cinque volte in due versetti la parola “gloria” in varie declinazioni e coniugazioni.

Credo che ognuno di noi ad ascoltare la parole “gloria” abbia associato o associ una serie di immagini diverse: successo, popolarità, applausi, acclamazioni che, pur nella loro diversità, hanno un denominatore comune appartengono tutte al campo semantico della positività, della gioia, della festa. Nessun di noi sognerebbe mai di legare questa parola a qualcosa di doloroso, spiacevole, sofferente.

Allora perché il Figlio di Dio, proprio in questo istante, ha sulle labbra ma anche nel cuore e nella mente questa parola? Cosa lo spinge a parlare di glorificazione in un momento così drammatico per lui e non solo? Tutto questo ci spinge ad una domanda ancora più profonda: che cosa è la gloria di Dio?

Tornando per un istante al “gioco” delle associazioni al verbo “glorificare Dio” potrei unire scene di chiese stracolme, di processioni immense, di conventi pieni, di missionari che si spendono con gioia e frutto per le strade del mondo, ma invece qui il Cristo associa a questa parola “gloria” e a questo verbo “glorificare Dio” il suo momento più difficile, il suo momento peggiore – umanamente parlando – la sua Passione e la sua Morte in croce. 

Non credo saprò, sapremo mai i veri motivi per cui Gesù sceglie queste parole in questo dato passaggio della sua vita, ne potremmo discutere per ore e giorni senza giungere a nulla perché veramente si entra nel Mistero profondo di Dio e della Sua incomprensibile Misericordia.

Però vorrei sposare e condividere una lettura di una sorella contemplativa che vede in questi passaggi giovannei come un atto di una fiducia estrema e al limite del paradossale di Gesù. E’ come se il Figlio di Dio dicesse: “Qualsiasi cosa accada da adesso (il Vangelo usa il termine ora) in poi è tutto nelle tue mani, fa sì che quello che vivrò possa rendere gloria al tuo Nome”.

Gesù si fida, è in sintonia, si abbandona talmente nelle braccia del Padre che gli affida tutto affinché da esso possa ricavare il meglio.

Questo mi rimanda ai mille e più tentativi, spesso colmi della nostra vanità, che si tentano di fare per glorificare Dio ma non secondo i suoi ma i nostri piani, quando crediamo che Dio venga glorificato solo per i nostri meriti, le nostre belle azioni, le nostre virtù. Qui, Gesù, ci ricorda che nulla cade all’infuori della mano di Dio, che tutto: una malattia, una sofferenza, un dolore, una perdita, tutto e in tutto può essere glorificato Dio. Non solo un Dio dell’altezze, ma anche un Dio delle bassezze, non un Dio dei picchi ma anche degli abissi. Un Dio a cui basta poco per essere glorificato, senza troppi esercizi di prestazioni spirituali autoreferenziali.

Sarebbe bello, dolce e liberante se, ogni volta, che nel Padre Nostro pronunciamo quel “sia santificato il tuo nome” facessimo memoria delle parole e dell’esempio di Gesù e ci buttassimo con gioia tra le braccia del Padre e ci lasciassimo amare per quelli che siamo: figli!

Altre meditazioni sulla Parola di Dio, le potete trovare nella nostra rubrica Lievito nella pasta.

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