La meditazione oggi proposta è tratta dal Vangelo secondo Giovanni, Capp. 18-19: Clicca qui per leggerli. Che nessuno vada perduto è la preoccupazione di Dio per questo giorno di redenzione di ciascuno di noi… Dopo l’articolo sul Giovedì Santo (clicca qui per leggerlo), entriamo nel mistero del Venerdì Santo con Suor Rosanna Damiani.

È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo” 

Questa inconsapevole profezia fatta da Caifa (che in questo racconto non è nemmeno uno dei principali protagonisti), in realtà è divenuta la chiave di lettura della passione e morte di Cristo. E da lui in poi è divenuta anche la connessione di senso di ogni nostra Pasqua, laddove recriminiamo a causa di ingiustizia, solitudine, abbandono, laddove ci sentiamo vittime delle circostanze, oggetto di scherno e soggetti passivi di una ingiustizia subita, laddove sperimentiamo di essere soli. 

Il Vangelo del discepolo amato, che leggiamo nel giorno santo del venerdì ci fa impattare con l’esigenza di cambiare stile relazionale, esistenziale.  Ci chiede di fare un passaggio di qualità, un passaggio di classe. Dalla borghesia degli atteggiamenti, di chi dispone capitali in termini di armi, azioni, parole, conoscenze, competenze, titoli e tutto ciò che appartiene alla logica dell’uomo autonomo e conquistatore, da tutto ciò che si può mercanteggiare, studiare, contrattare, separare, alla regalità del Figlio che è l’uomo libero e per questo offerto al mondo. 

«Chi cercate?» Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io». Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra (Gv18,4). Per due volte Gesù affermerà di essere colui che stanno cercando nel giardino al di là della valle di Cedron. Una sproporzione tra l’uomo che vuole risolvere con le armi le situazioni, e il Figlio dell’Uomo che non vuole risolvere, ma vuole risorgere, per amore del Padre e dei fratelli e ha l’urgenza di realizzare la profezia di Caifa, non per caso, ma per scelta.

Dare la vita per gli altri

«Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano» perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Questo dialogo è quanto registra il discepolo amato che forse inconsapevolmente sta imparando a diventare egli stesso Vangelo, buona notizia.  Nella scelta di consegnarsi di Gesù, è chiara la missione che il Padre gli ha affidato, fare la sua volontà corrisponde a dare la vita perché nessuno vada perduto.

Questa consegna libera dell’uomo nuovo sorprende persino il male, che si trova quasi impreparato davanti a una tale libertà. Ma Gesù si consegna perché è necessario per me e per te sapere che Dio è presente anche nelle mani empie degli uomini. Pietro prova a sistemare le cose, prova a reagire come può e come sa fare, Gesù lo ferma quasi a dirgli: “Pietro, questa battaglia contro il male accade nella relazione tra il Padre e il Figlio”, è altra cosa da un pareggiamento di conti o dal voler sistemare, difendere, risolvere. È altra cosa!

Se ho parlato bene, perché mi percuoti?

Gesù viene preso e portato prima da Anna, suocero di Caifa sommo sacerdote di quell’anno, poi da Caifa che aveva pronunciato quella profezia che si stava compiendo, non per caso ma per scelta del Padre, in Lui-Figlio. Egli, fino a questo momento, è “fedelmente” seguito da Pietro e da Giovanni, i quali certamente assisteranno all’assurdità di un processo sommario che si consuma davanti a Caifa, ma ciò che ancora più conta, ascolteranno ciò che il maestro ribadisce ai sommi sacerdoti.

Gesù dirà loro che ha parlato pubblicamente, in luoghi deputati all’insegnamento della legge. Sta dicendo che dopo la sua morte, altri faranno questo, altri continueranno a parlare apertamente non difendendosi dalla morte con le armi degli uomini, ma con l’unica arma che è la Parola, Verbo eterno del Padre «se ho parlato bene perché mi percuoti?», che rimane perché è da sempre. Dal palazzo di Caifa Gesù viene portato al Pretorio per essere processato dal procuratore romano. I Giudei si fermano fuori per non rischiare la contaminazione e mantenersi in condizione di purità rituale per poter mangiare la Pasqua. 

“Dunque tu sei il re?”

Il dialogo interiore di Pilato

Gesù dentro, i Giudei fuori. Pilato nel centro che parla con Gesù e con i Giudei. Ogni volta che si rivolge al Messia entra, ogni volta che si rivolge ai Giudei esce. È come se davanti a Gesù in Pilato avvenisse un dialogo interiore da cui è costretto ad uscire ogni volta che parla con i Giudei. Dentro si incontra con la regalità/libertà di Cristo, fuori con la legge dei Giudei e con la loro demagogia come un continuo passaggio dalla luce alle tenebre. 

Questo dialogo avviene in due tempi, in mezzo la flagellazione, al cuore la domanda sulla verità che Pilato fa a Gesù: «cos’è la verità?», preceduta da quella sulla sua regalità «dunque tu sei re?». In Cristo regalità e verità coincidono. La verità incarnata da Lui è accessibile a tutti, appartiene a tutti e non ha bisogno di essere affermata dalla violenza. La sua verità è la sua stessa identità di Figlio del Padre e il modo regale attraverso cui accetta le conseguenze di questa testimonianza lo rende Re, la sua consegna senza accuse o recriminazioni sigilla la sua sovranità sulle forze del principe di questo mondo. 

Pilato porta il Messia fuori dal pretorio: flagellato, umiliato e coperto da un mantello rosso che i soldati gli avevano messo sulle spalle per schernirlo, insieme ad una corona di spine per deridere il re. In queste condizioni viene presentato da Pilato ai Giudei: «Ecco l’uomo».

Gesù sempre più silenziosamente e per questo incisivamente sovrano, lascia che tutto accada. Pilato non sa cosa fare e procede applicando una consuetudine che prevede la possibilità di liberare un prigioniero per la festa di Pasqua. Gesù o Barabba. La legge sempre ci mette al sicuro dall’assumere la responsabilità di una scelta. 

Il Figlio del Padre

Il figlio dell’uomo o il figlio del padre (Bar-abbà= figlio del padre)? «Chi volete libero?».  Come si fa a scegliere, nemmeno il Padre può scegliere tra un figlio e un figlio. Il nodo si scioglie solo se uno dei due decide di dare la vita per il fratello. 

Gesù avrebbe potuto difendersi e certamente la sua Parola avrebbe raggiunto coloro che lo stavano condannando, forse tra loro qualche invitato alle nozze di Cana, che aveva gustato il vino buono; forse qualche parente di quel cieco nato che Gesù aveva guarito, sollevando la famiglia dal peso della responsabilità che i propri peccati fossero ricaduti sul figlio; forse qualche testimone della guarigione del figlio del centurione; certamente coloro che avevano assistito a quel rialzarsi del malato da trentotto anni, chissà quanti di coloro che avevano beneficiato del miracolo della condivisione dei pani; nascosti e impauriti invece coloro che lo avevano visto camminare sulle acque; induriti di cuore chi lo aveva visto piangere per la morte di Lazzaro e per averlo visto uscire dalla tomba.

Erano tutti lì quasi certamente. Troppo forte e vitale era stato il suo annuncio fino ad allora. Bastava riportare alla memoria i segni che la gente aveva visto. 

Ma Cristo era venuto per questo compimento! Per incarnare l’amore del Padre per ogni figlio, affinché nessun figlio vada perduto. Gesù tacendo sceglie di dare la vita per Barabba, per Pilato, per i soldati che con violenza inaudita si sono scagliati sul suo corpo. Ha scelto di morire per i suoi accusatori, per coloro che si sono fatti trascinare dal delirio della folla, per Pietro che lo ha rinnegato, per Giuda che lo ha tradito per tutti…per me e per te. 

Perché nessuno vada perduto

Il senso di tutto ciò però non sta nella sua morte, ma nel modo in cui si è consegnato, nell’insegnamento intrinseco di tale consegna, di Colui che per amore, avvolge tradimenti, giudizi, scherno, peccati in un indulto che si chiama misericordia, che traduce: cuore del Padreamore per ogni figlio. Per questo è dovuto arrivare fino alla morte. Viene allora condotto al Golgota, caricato della croce e crocifisso insieme ad altri due e sulla croce una iscrizione: Gesù Nazareno, re dei Giudei. Il Re è intronizzato e da lì fonda il suo regno eterno, che era da prima ed è per sempre…

Giovanni discepolo amato, in un cammino di inconsapevole conformazione, autore di questo Vangelo, descrive una scena di cui lui è coprotagonista insieme alla Madre e al Figlio. Lui, il discepolo che ha il privilegio di assistere alla nascita dell’opera più grande che il Maestro potesse compiere. Trasformare in grembo che genera vita l’ora della morte. 

Gesù allora vista la Madre e vicino il discepolo che amava, disse alla madre: «Donna ecco tuo figlio»; poi al discepolo: «Ecco tua madre»; e da quell’ora il discepolo la prese con sé (Gv19,26-27). È un nuovo modo di stare insieme, è la Chiesa, sigillata dallo scorrere dell’acqua e del sangue dal costato trafitto di Cristo sulla croce, è una nuova fondazione all’insegna della maternità e della figliolanza. La maternità della Sposa, la Chiesa che in Maria trova la sua matrice. Tale relazione di figliolanza e maternità che Gesù affida a Maria e al discepolo amato, assicura la relazione con Cristo di chi viene partorito dalla Chiesa attraverso il Battesimo, e la relazione col Padre di ogni uomo che, anche se non lo sa, è già figlio. 

Sarai mica anche tu tra i discepoli di quest’uomo?

Da Pietro a Giuda

Abbiamo lasciato Pietro nel cortile di Caifa che si scaldava al fuoco e per timore del gelo che accompagna la morte, ha negato di conoscere quell’uomo accusato di blasfemia, affermando che non era dei suoi. Ha preferito quel calduccio al fuoco dell’amore rinnegando parole, sguardi, gesti, miracoli, preghiera, intesa…chissà quante volte Gesù avrà guardato Pietro per far crescere quell’intesa fino a sigillare un’alleanza che sappiamo bene, nemmeno la morte e il peccato hanno avuto il potere di intaccare. 

Giuda l’abbiamo lasciato nel giardino al di là della Valle di Cedron. In Giuda la certezza di quell’alleanza è compromessa dalla pretesa di incasellare il Messia nelle attese di una liberazione borghese fatta con armi e strumenti “alla pari”. I Romani vanno cacciati. Giuda è schiacciato dal peso della delusione e delle aspettative, dal “secondo me”. Quell’alleanza non si è rotta, ma Giuda, sappiamo purtroppo che ha permesso al male di rubargli la certezza di quel legame. 

Da Giovanni a Giuseppe

Giovanni, il più giovane, rimasto attaccato al Maestro fino a quella investitura avvenuta sotto la croce. Giovanni rimane legato perché quando si è giovani si ha la necessità sempre attiva di guardare e imparare dal Maestro: è della formazione guardare a chi ha il mandato di insegnare ad amare. Gli eventi della Pasqua sono stati una iniziazione per il discepolo amato. 

Ora ritroviamo tutti in Giuseppe di Arimatea e Nicodemo che da lontano, pur facendo parte del gruppo degli accusatori, si sono lasciati interpellare da quell’uomo che aveva modi diversi, gesti e parole altre! Loro, discepoli nascosti, ora vengono allo scoperto, si espongono nella loro adesione al Cristo. L’uno ha chiesto il corpo del maestro per dargli una sepoltura degna della sua sovranità, l’altro ha portato una quantità tale di oli e spezie da poter seppellire un Re. 

Presero dunque il corpo di Gesù non come avevano fatto i soldati che avevano preso per catturare e fare proprio, ma lo presero e lo avvolsero con bende insieme agli aromi. Lo avvolsero, probabilmente sorreggendolo più volte da un lato e dall’altro, abbracciandolo necessariamente per avvolgerlo bene, contaminandosi per la legge dei giudei, impregnandosi di quel profumo per la fede dei cristiani, assorbendo la sua regalità per recuperare quella distanza che avevano mantenuto quando il Maestro era ancora in vita. Parola, gesti, vicinanza, prodigi: tutto riassunto in quel profumo che ha accompagnato gli eventi della Passione, da Betania al Golgota. Chiunque abbia preso il Maestro, dai soldati ai sommi sacerdoti, a Pilato, alla folla, da chi lo derideva e a chi lo piangeva, ha sentito il profumo regale che emanava il corpo del Cristo.  

In un giardino

Nel posto dove era stato deposto c’era un giardino e nel giardino un sepolcro vuoto, in cui nessuno era stato deposto. Lì, dunque, deposero Gesù in ragione della Parasceve dei giudei, perché quel sepolcro era vicino (Gv19,41-42). Tutto è cominciato da un giardino in cui Giuda ha assistito alle conseguenze del suo tradimento. Lì, prima ancora di togliersi la vita, ha perso il senso di ogni cosa, lì ha attraversato la porta degli inferi. Viene chiusa la tomba col corpo di Gesù proprio nel giardino, perché solo entrando anch’egli in una tomba può andare a cercare Giuda e tutti coloro che a partire dal giardino delle origini hanno pensato di voler risolvere le questioni della vita ad armi pari. Cristo il Messia, il Figlio del Padre era necessario che morisse per entrare nell’oscurità degli inferi per riportare alla luce i fratelli lì imprigionati… perché nessuno vada perduto.

Suor Rosanna Damiani

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