L’argomento di questa mia riflessione è il capitolo VII della Christus Vivit, dedicato alla pastorale dei giovani. Cosa è la pastorale dei giovani o giovanile? E’ l’azione educativa con cui la comunità ecclesiale, animata dallo Spirito Santo, accompagna i giovani e favorisce la loro crescita verso la pienezza della vita e confidando con speranza nel nome di Gesù Cristo nelle concrete situazioni della vita.
Nel Sinodo sui giovani prima di tutto si è affermato che la pastorale deve essere “sinodale” ( dal greco sinodo che vuol dire “strada insieme”), così viene ad essere un percorso fatto insieme, all’interno di una comunità, sentendosi parte della Chiesa e immagine della Chiesa, valorizzando i carismi, le diversità, la ricchezza e i doni di ciascuno senza escludere nessuno; questo deve essere questo uno dei punti di forza della pastorale giovanile in grado di attrarre i giovani, affinché essa non sia un’unità monolitica ma una famiglia, come lo è la Chiesa intera. Evidenzia così il Santo Padre:
“Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte».In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie”. (CV 206 – 207).
La pastorale giovanile deve agire essenzialmente su due grandi linee: la ricerca e la crescita.
La ricerca è quella di nuovi giovani e i modi – come sappiamo – sono molti: l’organizzazione di feste, ritiri, eventi vari. E’ compito degli stessi giovani trovare queste nuove strade, infatti chi accompagna i vari gruppi, devono limitare a stimolarli, perché i giovani, più di tutti, hanno l’ingegno, la creatività e capacità di immedesimarsi negli altri giovani.
“In questa ricerca va privilegiato il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale ed esistenziale che tocca il cuore, raggiunge la vita, risveglia speranza e desideri. Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo. Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente. Allo stesso tempo, dobbiamo ancora ricercare con maggiore sensibilità come incarnare il kerygma nel linguaggio dei giovani d’oggi” (CV 211).
La crescita invece è un percorso che non si può fare da soli, ma insieme agli altri fratelli, all’interno della comunità. Il problema che oggi è molto frequente è la ricerca senza crescita, cioè che quel seme piantato nel cuore di un giovane non può crescere perché non viene “innaffiato”.
La fede infatti è una relazione di amore, di amicizia con Dio e l’amore è un essere vivente vero e proprio, per questo ha bisogno di costante nutrimento per vivere. Nelle relazioni con gli altri la situazione è la medesima, ad esempio se stringiamo subito un forte legame con una persona ma dopo non ci si contatta più, non si passa più del tempo insieme, quella persona per noi tornerà ad essere identica a tutte le altre. E’ essenziale quindi la crescita nell’amicizia con Dio.
Nell’ambito della pastorale giovanile, questo percorso non può limitarsi ad un semplice indottrinamento, un apprendimento della morale cristiana, ma deve essere una crescita anche nella preghiera, nell’approfondimento delle Sacre Scritture, nell’adorazione eucaristica, nel donarsi per gli altri, nella fratellanza, nella vicinanza a chi soffre.
Potete trovare altre riflessioni su questa esortazione apostolica nel nostro blog, come ad esempio: https://www.legraindeble.it/esortazione-apostolica-christus-vivit-capitolo-secondo/