Dopo il secondo capitolo che potete trovare qui, il terzo capitolo della Christus Vivit si apre con una grande domanda che il Papa Francesco fa e si fa: Come sono i giovani oggi, cosa succede adesso ai giovani?” (Christus Vivit 64)

Alla luce di questa domanda egli tratteggia una descrizione che, pur nella sua sinteticità, ridona un’immagine, credo fedele, della gioventù contemporanea. Egli individua diverse costanti,: la prima è che non si può più parlare, qualora fosse stato mai possibile, di una gioventù ma siamo di fronte ad una pluralità di gioventù, infatti i giovani differiscono uno dall’altro per età, per contesto geografico, per storia, per cultura, quindi possiamo mantenere il termine “gioventù” a patto che esso venga declinato al plurale: le gioventù.

La seconda costante, chiaramente identificabile, è che la gioventù non è un’età esente da ferite, sofferenze, dolori ma che ogni giovane reca con sé una storia spesso piena di ferite, carica di sofferenza e per questo portatrice di speranza. Quando il Papa afferma ciò non si riferisce solo ai contesti in cui vi è una guerra o vi è una carestia, quindi situazioni che noi ben conosciamo dai mass media ma che sentiamo lontane, ma vi sono situazioni tanto più sottili quanto più pericolose, ad esempio le varie dipendenze come alcool, droga alle quali vanno ad aggiungersi quelle tutte contemporanee legate alla dipendenza dal web, alla pornografia, il gioco d’azzardo ed altre ancora. Un nota tutta speciale nel corso del capitolo va assegnata al tema dell’ambiente digitale con le sue luci e le sue ombre, sopratutto con l’auto denuncia di alcuni giovani che segnalano come in esso vigono delle relazioni che a volte possono divenire disumane.  

L’aspetto che più ha rapito la mia attenzione è un chiaro mea culpa del Santo Padre relativamente ad alcune mancanze da parte della Chiesa in alcuni processi di discernimento ed accompagnamento giovanile. Una sana autocritica che fa bene alla Chiesa intera, battezzati tutti, che permette di ripartire su nuove basi, il Papa scrive così:  “Il Sinodo ha riconosciuto che i fedeli della Chiesa non sempre hanno l’atteggiamento di Gesù. Invece di disporci ad ascoltarli a fondo, «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione».[24] D’altra parte, quando la Chiesa abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché «consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite».[25]” (Christus Vivit 65).

E poco oltre:

“Oggi noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo. Alcuni forse ci applaudiranno perché sembriamo esperti nell’individuare aspetti negativi e pericoli. Ma quale sarebbe il risultato di questo atteggiamento? Una distanza sempre maggiore, meno vicinanza, meno aiuto reciproco. Lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero. (66, 67).

Non occorrerebbe commento a queste parole stupende ma graffianti, mi limito ad indicare alcuni aspetti, il Papa ha come punto di riferimento Gesù e il Padre, la Chiesa tutta, non solo i preti, deve cercare di assomigliare ad essi, non deve semplificare eccessivamente, non deve schematizzare soffocando, non deve giudicare ignorando. Ogni giovane non solo è una perla preziosa ma è una miniera per sé e per la comunità in cui è innestato, sta noi, Chiesa, individuare i germi di bene, le risorse, le capacità spesso celate in ognuno di essi: questo è secondo lo sguardo del Padre. Allo stesso tempo, poiché giovane è diverso, è diverso ogni percorso, cammino, accompagnamento, non esistono leggi e ricette buoni per tutti e per tutti. 

Tutto questo aumenta in modo enorme la mole di lavoro relativamente alla realtà giovanile, ma è l’unica via se vogliamo che i germi di beni seminati nei cuori dei giovani portino frutto e che la società possa tornare ad essere un giardino. 

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