Commento al vangelo della IV Domenica di Avvento

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Lc 1,26-38

«Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo». Così scriveva nel suo testamento spirituale P. Christian de Chergé (1937-1996), uno dei martiri di Tibhirine, oggi beato. Quanta verità in queste parole! Il peccato, l’odio, l’egoismo, il vivere solo per sé contribuiscono, infatti, a non arginare quel male, che pur con orrore e indignazione sappiamo riconoscere e denunciare, quando lo vediamo nella cronaca sempre più nera dei nostri tempi o nelle nostre vite. 

Eppure, in questo tempo che segna l’apparente vittoria dei fabbricatori di deserti, dei detonatori di guerre, degli affaristi e dei prevaricatori, dei mercificatori della dignità umana, Dio continua a riversare la sua salvezza, realizzata una volta per sempre in Gesù.

Complici della salvezza

Dio, oggi come allora, cerca collaboratori della sua salvezza, uomini e donne che si fanno complici della sua volontà di salvezza. È successo con Abramo, Mosè e i profeti, uomini e donne normalissimi, impastati di male e debolezza, ma capaci di reggere il faccia a faccia con Dio e con gli uomini e fare la loro parte perché si realizzasse la sua salvezza, il suo progetto di bene. 

È successo in maniera mirabile con Maria, che non ha arretrato davanti a quel Dio, che faceva irruzione in una periferia marginale dell’ecumene come se fosse il centro del mondo e che avrebbe invaso il suo corpo, le sue relazioni e i suoi sogni di giovane donna come se fossero più santi del Santo dei Santi.

Anzi, a quel Dio che non le avrebbe risparmiato spade nell’anima, incomprensioni e parole ferenti, a quel Dio che il suo canto avrebbe celebrato come rovesciatore di tutte le storture e i prevaricatori della storia, come rovesciatore di salvezza nelle fibre oscure della materia e della storia, a quel Dio che la elevava a comprimaria e coprotagonista della sua salvezza, Maria offre tutto: il corpo, il latte e il pane, il lavoro ordinario di donna di casa, i sorrisi, le carezze e gli abbracci, gli stichi della Torah, le lacrime, le braccia, il cuore… tutto, persino lo stesso Figlio, il dono ricevuto.

La nostra parte

Maria ci sta dinanzi ormai alle soglie del Natale a ricordarci la nostra parte nella storia della salvezza. Dio cerca anche noi per continuare a salvare. Dio cerca anche la nostra vita marginale e ordinaria perché sia canale di salvezza per altri. Perché con i nostri si fabbrichino ponti, si costruisca pace, si annunci un senso, una buona novella. Affinché con la nostra vocazione, il nostro lavoro, la nostra famiglia egli possa raggiungere chi vede solo cumuli di macerie e un male sempre più indomabile. Perché anche la nostra vita possa generare il Figlio di Dio, che siamo noi.

Del resto, come dice P. Christian de Chergé nel film Uomini di Dio: «La nostra identità di uomini va da una nascita all’altra, e da una nascita all’altra finiremo anche noi per far nascere questo figlio di Dio che siamo noi, perché l’incarnazione per noi è lasciare che la realtà filiale di Gesù si incarni nella nostra umanità.

Il mistero dell’incarnazione è proprio quello che tutti noi vivremo». Sia allora questo Natale occasione perché si incarni in noi la realtà filiale di Gesù e la sua salvezza si radichi ancora di più in noi e intorno a noi e il male, già vinto, arretri! Auguri! Buon Natale!

Francesco Pacia

  • Il testo è apparso su Kairós. Comunità vocazionale Diocesi di Nola, Anno I, n° 1 – 15 novembre 2023, p. 11.
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