Commento al vangelo della III domenica di Pasqua
Alla fine
Prima di condurre la riflessione nel commento al vangelo di questa III domenica di Pasqua, sostiamo per un attimo davanti all’intestazione del Sal. 4 (eb. 5) che la liturgia pone in relazione al brano evangelico. Così recita letteralmente: “Alla fine, nei salmi: cantico per Davide”. Alla luce della Nuova Scrittura, queste parole assumono il dolce sapore della Resurrezione. Il cantico, per Davide-Cristo e di Davide, viene proclamato in vista della fine, perché essa non sia sinonimo di consuzione, ma di compimento. Ed ecco che per noi, “figli degli uomini” (v. 3), troppo terreni e poco celesti, la medaglia si rovescia e da destinati alla morte-fine, diventiamo consapevoli di un disegno che si compie nella Resurrezione.
La preghiera del Figlio
Se immaginiamo che ogni parola del salmo sia pronunciata da Cristo, perché vediamo in Davide la sua figura, allora il v. 2 suonerà come la preghiera del Figlio al Padre: “Quando l’ho invocato, mi ha esaudito il Dio della mia giustizia, nella tribolazione mi hai allargato il cuore”. Notiamo che fra la seconda e la terza frase c’è un cambiamento di persona: mi ha esaudito (III p.s.) cambia in mi hai allargato il cuore (II p.s.). Quanto è bello entrare all’interno del dialogo fra il Figlio e il Padre, riuscire a capire come pregare perché radicati nel cuore del Figlio! Gesù invoca, il Padre lo esaudisce: ma è solo nella tribolazione, nelle torture della Passione, in un annichilimento che conduce alla morte che il cuore del Figlio s’allarga per ospitare e far dimorare in Sé il Padre.
Nel cuore di Cristo
Il passaggio dalla III p.s. alla II p.s. è l’immagine semantica dell’azione di un Dio che dimora nel cuore del Figlio e che s’avvicina a Lui tanto da diventare una cosa sola. Se è evidente l’essenziale unione trinitaria, manca un tassello perché la fine possa diventare compimento. E quel tassello mancante ce lo offre il vangelo. Dice, infatti, Gesù, agli apostoli: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Soltanto quando tocchiamo il corpo glorificato di Gesù, le sua piaghe, la sua incarnata presenza d’amore, possiamo riconoscerLo ed entrare con la nostra carne nel cuore di Cristo, abitato dal Padre.
Per illuminazione d’Amore
Nell’esperienza di una preghiera che si nutre e si incarna in Gesù possiamo fare esperienza di un allargamento del cuore che, ad immagine e somiglianza del suo Signore, anche nella tribolazione è pieno di gioia, perché immerso della gloria trinitaria. Ma Gesù compie un altro prodigio: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Quando la nostra volontà si radica nel suo Verbo, allora anche il pensiero si apre, ad immagine e somiglianza del Padre – che è Pensiero –, l’originale ferita guarisce, detersa alle sorgenti della salvezza, e tutto s’illumina d’Amore. Così la Trinità sta in mezzo a noi, presenza permanente di Lei in noi e di noi in Lei, perché tutto si compia e abbia il pieno sapore della Sapienza.