Due nemici si riconoscono
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Chi non ricorda la scena immemorabile dell’incontro di Achille e Priamo nel canto 24 dell’Iliade? Due nemici, di cui uno ha ucciso il figlio all’altro, si riconoscono ugualmente mortali (perché pure il Pelìde è destinato a morire), fragili, accomunati da una stessa sofferenza e da stessi affetti precari. Sappiamo tutti come finisce quel colloquio. Priamo ottiene il cadavere del figlio Ettore, ucciso da Achille, e la possibilità di celebrare un funerale pieno di onori, per il baluardo di Troia, ormai destinata a cadere. E mentre le leggi dell’humanitas si ricompongono in questa parentesi dalla guerra, si ricompone anche l’ira di Achille, quando cede agli dei e lascia andare finalmente le sue ragioni, che non avevano giovato a nessuno e addotto solo infiniti lutti agli Achei e ai Troiani.
La parentesi del funerale
E la parentesi di umanità dell’incontro dei due, si prolunga nella lunga parentesi – 12 giorni! – del funerale di Ettore. Lo piange il padre, la madre, la sposa, Andromaca, col piccolo Astianatte, e persino Elena, la cognata additata da tutti come causa di ogni sciagura per Ilio. Tutte piangono Ettore e la loro sorte ormai segnata, perché la guerra non guarda tanto alle ragioni di vinti o vincitori, alla fine distrugge tutti, soprattutto loro, le deboli, loro che da principesse sono destinate a diventare schiave e concubine degli assassini dei loro mariti, padri e fratelli.
Ma il funerale di Ettore è la parentesi in tutto quello scenario di sconfitta e morte annunciate. È un momento sacro e nessuno può mettersi contro la legge eterna della sepoltura (vedi cosa succede a Creonte nell’Antigone di Sofocle!). E così l’Iliade, il “poema della forza”, come lo definì Simone Weil, finisce con una parentesi di quiete, di non forza, di forza deposta.
La dilatazione solenne
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Ὣς οἵ γ' ἀμφίεπον τάφον Ἕκτορος ἱπποδάμοιο. Così essi curarono la sepoltura di Ettore, domatore di cavalli. (Hom. Il. 24, 804)
In metrica è stupendo. La clausola finale che occupa ben cinque piedi e il genitivo miceneo dell’epiteto di Ettore sembrano dilatare a dismisura la tregua, la quiete prima della caduta di Troia. Ma anche sembra dilatare oltre i confini del verso e della vicenda conclusa la fama di Ettore, la sua gloria nei secoli, ma soprattutto la solennità di quel momento di grande umanità, che nel segno della cura, della civiltà e della compassione chiude l’orrore della guerra, annunciato così prepotentemente nei primi versi del poema, apertosi con la vista tremenda dei cadaveri abbandonati, orrido pasto di uccelli e cani. E non solo. Il verso è lento, grave, quasi maestoso, catartico.
La fretta e sdegnata fuga
Non così gli ultimi versi dell’Eneide. La morte di Turno per mano di Enea è repentina, veloce; le sue membra si sciolgono dal corpo e la vita rifugge sdegnata nella dimora delle ombre. Non sepolture, non pietà, niente. Solo la fuga indignata dell’anima di Turno.
Hoc dicens ferrum adverso sub pectore condit fervidus; ast illi solvuntur frigore membra vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. Dicendo questo, [Enea] nasconde il ferro nel petto, furente; e a quello [Turno] le membra nel freddo si sciolgono e la vita con un gemito fuggì sdegnosa sotto le ombre. (Verg. Aen. 12, 950-952)
Così Virgilio, capace di vestire di umanità persino le api, con un solo aggettivo indignata e con la pesantezza di quel sub umbra macchia di impietas la proverbiale pietas di Enea, che non si è fermato davanti alla supplica del nemico (ma avrebbe potuto?), e insinua la bestemmia disperata che il volere del Fato si compie a prezzo di sangue, e che anche il più mirabile dei principati, la pax aurea più feconda, è sorta su cadaveri indignati, cacciati prematuramente nell’Ade. La pace e la gloria di Roma sono macchiati di sangue di guerre, che saranno dimenticate… ma un poeta come Virgilio non dimentica…
La legge di Ares e la parentesi dell’humanitas
Due finali diversi, dunque, di due opere straordinariamente fondanti per la nostra cultura e molto attuali in questi ennesimi giorni di guerra. L’Iliade si chiude con una parentesi che infonde fiducia. Anche se la sorte di Ilio è segnata, c’è spazio per la legge eterna degli dei, per la sepoltura, per ciò che rende l’uomo tale – si dice che siano la sepoltura dei morti e la cura dei malati i segni della nascita della civiltà; l’Eneide, no, finisce bruscamente. Quasi a ribadire che dove c’è guerra – giusta o ingiusta che sia – non valgono più leggi eterne e le leggi dell’umanità. “Dove gli idoli guerrieri acquistano spazio, le discussioni su problemi etici della guerra diventano esercitazioni retoriche: Ares [scil. il dio della guerra], infatti, non si preoccupa da che parte sta il diritto” (Otto Bauernfeind). Anzi, la guerra – oggi sempre più tecnologica e dicono “intelligente” – non si preoccupa da che parte sta l’umanità. Ma ci possono essere parentesi di umanità… e in questi giorni ne abbiamo sentite tante… chissà, se fossero di più e più grandi, potrebbero essere armi contro la guerra e forse le cose potrebbero andare diversamente… Non so, ma a noi tocca coltivare questa umanità. Foss’anche a partire dal pensiero, dalla lettura dell’Iliade e dall’Eneide.
Francesco Pacia
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