Più la contemplo questa pagina di Vangelo, più mi dona un senso enorme di stupore, che può essere introdotta da questo “Ecco”.

Siamo nella sera stessa della Risurrezione, la paura aleggia sovrana tanto che le porte erano chiuse.

La tristezza forse ancora di più, la disperazione inizia ad albeggiare nei cuori dei più. Ciò che mi sorprende non sono i sentimenti dei discepoli, quelli sono comuni a tutti, o almeno alla maggior parte di noi: paura, angoscia, tristezza e disperazione sono compagne di viaggio da sempre, per chi cammina su questo sacro suole che è la terra.

A me ciò che “prende in contropiede” è Lui il Risorto, o come alcuni lo chiamano – non erroneamente – il Veniente, colui che sempre Viene e viene incontro. Per farsi riconoscere non ricorre a prodigi, miracoli o colpi di scena ma mostra le sue ferite, le sue piaghe: mani e fianco. La sua carta di identità. E questo il primo giorno.

Ma vi erano gli assenti, o meglio un assente Tommaso, e lui stesso alla testimonianza dei suoi compagni afferma che Lui quelle piaghe non solo le vuole vedere ma le vuole anche toccare, vuole fare “esperienza” del Risorto.

E, otto giorni dopo, Gesù torna e compie lo stesso “rito” quasi identico e mostra di nuovo le piaghe per Tommaso ma non solo, anche per gli altri.

https://www.cittanuova.it/lettera-di-francesco-e-chiara-dassisi-alleuropa-del-iii-millennio-2/?ms=002&se=026

Quasi un’ossessione queste piaghe, queste ferite, in un Vangelo della Risurrezione vi è questa ripetuta ripresa di queste ferite: ci dovrebbe essere gioia, luce, allegria, festa e invece si torna a sottolineare un dolore, una sofferenza, una morte.

La Risurrezione – scrive un Alessandro Deho’ – non è un girare pagina ma è prendere sul serio quella pagina, è prendere sul serio la sofferenza, la morte, il dolore anche il più atroce e lì far nascere la Vita Nuova, far sbocciare la Risurrezione.

Così in questa Domenica, il Risorto mi è ancora più vicino, Lui – per primo – prende in carico le Sue di sofferenze, le Sue di ferite e come si afferma con forza nella Lettera agli Ebrei ( 2, 18): “Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” e così si fa prossimo alle nostre, come se ci si immergesse dentro, perché solo dentro il nostro buio la Sua di Luce può brillare, senza scappare dalle nostre tenebre e come dice il Salmo: “Le nostre lacrime nell’otre tuo raccogli” (Sal 56) perché questa è l’esperienza della misericordia: entrare nelle “interiorità” di ognuno e restare lì.

Ecco il Risorto, il Veniente incontro, il Vicino, il Misericordioso.

Shaqued

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