Riprendiamo la lettura del libro di Ester: dopo aver descritto la sua bellezza, scopriamo il significato e l’importanza del chiamare per nome.

Il momento di andare dal re giungeva per una fanciulla alla fine di dodici mesi, quando terminavano i giorni della preparazione. Il periodo della preparazione si svolgeva così: sei mesi per essere unta con olio di mirra e sei con spezie e unguenti femminili. Allora veniva introdotta dal re, e quello che chiedeva le veniva dato per portarlo con sé dall’harem alla reggia. Vi andava la sera e la mattina seguente passava nel secondo harem, dove Gai, l’eunuco del re, custodiva le donne; nessuna di loro poteva rientrare dal re, se non veniva chiamata per nome.

Est 2, 12-14

Vorrei soffermare lo sguardo insieme a voi sull’ultima frase appena letta. Da qualche mese ho la grazia di partecipare presso Recanati al Cammino delle 10 Parole, ideato da don Fabio Rosini. Ebbene, giunti alla II Parola, ci è stato detto che il nome non è un elemento accessorio: dire il nome significa dire la persona, l’identità. Pronunciarlo equivale a entrare in contatto, in relazione con la persona, con la sua realtà più profonda. C’è un’intimità nel pronunciare il nome di qualcuno, perché la relazione stessa è qualcosa di sacro. Infatti, è quando ti senti chiamato per nome, che capisci che per l’altro sei diventato qualcuno.

Ecco perché Alessandro D’Avenia, nel romanzo L’appello, sostiene che compiere tutte le mattine a scuola questo esercizio sia un atto d’amore, equivalente al dare alla luce, che poi vuol dire ri-chiamare alla vita. Tant’è vero che la prima cosa che si fa quando nasce un bimbo è dargli un nome.

Allora, è arrivato il momento di farvi una domanda del tipo “Ma è nato prima l’uovo o la gallina?”:

secondo voi viene prima il sentirsi amati o chiamati per nome?

Lo so, sembra che non ci sia una risposta univoca. Vi do un suggerimento: rileggete i versetti di Ester. Dopo aver trascorso una notte con il re, nessuna fanciulla poteva ripresentarsi da lui, se non veniva chiamata per nome. Io credo che all’origine di tutto ci sia l’amore. Perciò, prima ci siamo sentiti amati da Dio o da chiunque altra persona, e poi ci siamo sentiti chiamati per nome, perché quando qualcuno ti chiama è come se ti dicesse: “So chi sei, ti conosco, sei proprio tu, mica uno dei tanti”, e questo implica che la persona ha già deciso nel suo cuore di volerti bene.

Certo che, esaminando la nostra coscienza, potremmo chiederci: Ma io come uso il nome degli altri? Così, tanto per abitudine o buona educazione, oppure come strumento per amare?

Alla luce di quanto detto, non posso sorvolare sulla bellezza di avere un Dio che si fa chiamare per nome… non è scontato. Gli ebrei hanno il famoso tetragramma sacro יהוה (da noi traslitterato con YHWH), che contiene il nome di Dio, talmente prezioso e venerato da essere indicibile, impronunciabile. E non a caso, col passare del tempo, esso si è cristallizzato nel piano della scrittura ed è accaduto l’inevitabile: oggi nessun ebreo conosce più la sua esatta pronuncia.

Ma riflettiamo un momento: è talmente importante l’atto del chiamare per nome che nei confronti di Dio per gli ebrei è – da sempre – impossibile farlo. In un certo senso leggere oralmente quei quattro caratteri sarebbe come possedere Dio, e ciò vorrebbe dire commettere un atto empio.
Noi cristiani invece abbiamo una grazia immensa, una bella fortuna.
Crediamo che Dio ha mandato Suo Figlio in carne ed ossa in mezzo a noi. E quel Dio-Bambino ha sùbito vestito i panni dell’umiltà, trovandosi bisognoso di un grembo che lo ospitasse e di un nome. E anche in questo caso l’Angelo Gabriele disse alla Vergine Maria di chiamare Gesù il Figlio di Dio, non tanto per osservare una tradizione o un costume sociale. Il motivo profondo e reale è che Dio vuole entrare in relazione con l’essere umano, e per riuscirci non basta che Lui conosca i nostri nomi. C’è bisogno che anche noi conosciamo il Suo, perché il nome è l’ABC della relazione.

Il nostro nome, poi, è tanto caro al cuore di Dio, che non ci verrà tolto neppure in Paradiso, anzi l’Apocalisse ci svela un delicato dettaglio: ci sarà data «una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (Ap 2, 17).

P.S. A chi volesse qualche informazione in più sul Cammino delle 10 Parole consiglio l’ascolto di questo video, in cui Rosini lo presenta in generale. Se invece non conoscevate Rosini neppure di nome, prima di tutto andatevi a confessare!, e poi guardate questo video (don Fabio è veramente spassoso, oltre che sapiente).

Benedetta

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