Se la scorsa volta abbiamo parlato di inchini e gesti d’amore, nella puntata di oggi sappiate che vi prenderò e terrò per mano tutto il tempo, perché è pericoloso aprire le porte dei pensieri cattivi, dei tradimenti, delle paure, delle fatiche, delle ansie passate e presenti, ed entrarci da soli. Il rischio di restarci incastrati, chiusi dentro senza trovare via d’uscita, è alto. La soluzione allora è lasciarsi accompagnare, perché solo la comunione fraterna spezza la solitudine degli inferi.

«Il primo mese, cioè il mese di Nisan, il dodicesimo anno del re Assuero, si gettò il pur, cioè la sorte, alla presenza di Aman, per la scelta del giorno e del mese. La sorte cadde sul tredici del dodicesimo mese, chiamato Adar. Allora Aman disse al re Assuero: “Vi è un popolo disperso e segregato tra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo lasci tranquillo. Se così piace al re, si ordini che esso sia distrutto; io verserò diecimila talenti d’argento agli amministratori del re, perché siano versati nel tesoro reale”. Allora il re si tolse l’anello di mano e lo diede ad Aman, figlio di Ammedàta, l’Agaghita, nemico dei Giudei. Il re disse ad Aman: “Il denaro sia per te: al popolo fa’ pure quello che ti sembra opportuno”. Il tredici del primo mese furono chiamati i segretari del re, e in conformità agli ordini di Aman, fu scritto ai satrapi del re, ai governatori di ogni provincia e ai capi di ogni popolo, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere e a ogni popolo secondo la sua lingua. Lo scritto fu redatto in nome del re Assuero e sigillato con l’anello reale. Questi documenti scritti furono spediti per mezzo di corrieri in tutte le province del re, perché si distruggessero, si uccidessero, si sterminassero tutti i Giudei, giovani e vecchi, bambini e donne, in un medesimo giorno, il tredici del dodicesimo mese, cioè il mese di Adar, e si saccheggiassero i loro beni. Una copia dell’editto, che doveva essere promulgato in ogni provincia, fu resa nota a tutti i popoli, perché si tenessero pronti per quel giorno. I corrieri partirono in tutta fretta per eseguire l’ordine del re e il decreto fu promulgato nella cittadella di Susa. Mentre il re e Aman stavano a gozzovigliare, la città di Susa era costernata».

Est 3, 7-15 (versione ebraica)

Di Caini e di Pilati

Non voglio soffermarmi sulla questione storico-sociale per cui gli ebrei sono stati il capro espiatorio prediletto di tutti i tempi e, pertanto, ripetutamente vittime di stermini di massa.

Vorrei invece posare lo sguardo su Aman, un uomo che sta perdendo la sua umanità, perché ha scelto di credere a una parola di morte e di odio. Se solo avesse cercato un dialogo con Mardocheo! Se solo avesse messo da parte l’amor proprio e si fosse anche umiliato pur di ascoltare e cercare di capire le ragioni dell’altro! Di certo avrebbe inaugurato la strada della comprensione. Invece, ferito nell’orgoglio per non essere stato riconosciuto, si trasforma in carnefice spietato, novello Caino, e coinvolge nel suo progetto mortifero anche il re Artaserse.

Quest’ultimo – diciamolo – non fa una bella figura: nell’atteggiamento e nella scelta di assecondare Aman, a mio parere, ricorda molto Ponzio Pilato. Per non “sporcarsi le mani”, cede direttamente l’anello regale al ministro e diventa così suo complice.

Mentre continuiamo a tenerci per mano, mi viene da gridare uno slogan: attenzione a non comprometterci col male!

Al Cap. II dei Promessi sposi, Manzoni spiega con incredibile lucidità questo concetto: “I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”.

Ciò significa che quando facciamo qualcosa di male, quando contrastiamo in noi la feconda via della carità e, come matrigne ciniche, imbocchiamo le nostre paure, le gelosie, le invidie, … non siamo mai solo responsabili delle azioni che compiamo in prima persona, ma di tutto il male che, così facendo o dicendo (perché si sa che la lingua è talvolta più letale dei gesti), abbiamo messo in circolazione.
Manzoni lo scriveva pensando a don Rodrigo che, impedendo le nozze di Lucia, aveva provocato l’ira di Renzo suscitando in lui la tentazione di commettere uno «sproposito». Noi possiamo tranquillamente adattare questa parola alle nostre situazioni e chiederci: quando, come Aman, sono un Caino? Quando, come Artaserse, sono un Pilato? E, se volete, quando sono simile a don Rodrigo?

Imparare il bene

Ma non posso ancora lasciarvi andare così, senza una Parola di luce, soffiata delicatamente sul cuore.

Don Fabio Rosini dice che nella vita non basta imparare dagli errori, non è sufficiente imparare a non compiere il male. Il segreto vero è imparare a fare il bene. Allora come si fa? Come possiamo imparare a non comprometterci col male?
San Paolo (pure lui oggi!) ci dà una mano con la lettera ai Filippesi:

«In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4, 8).

Mi auguro che questa Parola possa farci strada nel caos di pensieri che spesso ci assillano, ci tolgono la vita vera e nuova, e ci fanno sprofondare negli inferi. E poi, altre nostre grandi alleate sono la confessione e la culla della preghiera. Tutto si gioca nel chiedere scusa e andare avanti, con Dio e con i fratelli, fino a “per sempre”, perché la Vita Eterna è già iniziata, è già ora.

Benedetta

P.S. Vi sembrerà che vi abbia lasciato le mani, ma non abbiate paura, ho chiesto a Dio di tenervele strette per me.

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