Quinta Domenica di Quaresima: commento al Vangelo di Giovanni (Gv 8, 1-11).

Il monte degli Ulivi, luogo di miseria

“Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi”… quanto è evocativa già questa sola frase? Quanto dice del mistero di Dio? A saper ben leggere la Sacra Scrittura, e a meditarla, in una parola sola, in una singola frase, si trova tutta la verità di Dio, tutta quella che possiamo comprendere e di cui abbiamo bisogno. Quando si prega il Rosario, il monte degli Ulivi è il luogo che si contempla per primo nei misteri del dolore, poiché è il luogo dove stette Gesù agonizzante nel primissimo momento della sua Passione dopo avere donato alla Chiesa nascente il sacramento dell’Eucaristia.
Chi è stato a Gerusalemme lo sa. Il monte degli Ulivi e il tempio si oppongono l’uno all’altro. Si trovano su due colline l’una di fronte all’altra, da cui si scrutano a vicenda. Secondo la Legge ebraica il dolore, la sofferenza, la morte, la malattia venivano allontanati dal tempio. I malati e i sofferenti, nonché i morti, erano gli impuri che dovevano stare alla larga dalla dimora di Dio per non contaminarla. Gesù, con il solo recarsi nel tempio dopo essere stato lassù sul monte, ha dato una svolta alla storia: è Dio stesso che sceglie di contaminare la sua casa, di contaminarsi, con l’uomo, con noi.
Nell’ottica di Gesù, gli emarginati diventano più figli dei figli, poiché essi conoscono la loro miseria di fronte a Dio, al contrario di chi si fa forte della Legge, che in virtù di essa si crede un giusto e si mette sullo stesso piano di Dio. Il monte degli Ulivi ribalta la prospettiva perché Gesù è il nuovo Adamo (Rm 5, 12-19) e il monte diventa dunque il nuovo Eden. Il nuovo Paradiso Terrestre è infatti la morte, perché è attraverso la morte, una morte di croce (Fil 2, 8), che si giunge nel Paradiso Celeste.

La provocazione di Gesù

Sono proprio queste le persone che incontriamo in questo passo del Vangelo: quelle che si fanno forti della Legge, forti e giuste come Dio. La loro boria si legge tutta in queste parole: “Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo”. Loro non desiderano confrontarsi con Gesù. Non desiderano capire. Si è spento del tutto il loro desiderio. Chi prende la Legge di Dio e la usa come strumento punitivo, e non riconciliativo, vede morire il proprio desiderio. Smette di desiderare del tutto, in primis di desiderare Dio.
Il motivo credo che sia questo: se ti senti un giusto, sarai pieno di te, e nel pieno dell’egoismo, dell’insuperbimento dell’io, non potrai mai accogliere qualcosa che viene de-sidera, dalle stelle, dal cielo, cioè dall’eterno, da Dio. Gesù è colui che compie il desiderio umano appunto perché viene de-sidera, dal cielo eterno, da Dio, poiché è egli stesso Dio. Ma come si può compiere qualcosa che non ha nemmeno un punto di inizio? Gesù può risuscitare i morti del corpo, non i morti dello spirito. Contro la chiusura allo Spirito Santo egli non può nulla perché si tratta di una libera scelta dell’uomo. Questo è il famoso peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12, 31-32), che non può essere perdonato perché non chiede perdono, e non chiede perdono perché non ritiene di averne bisogno.
Per questo motivo Gesù li provoca mettendosi a scrivere in terra e dicendo loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. La provocazione è l’unica arma che Gesù ha contro la chiusura del cuore. Quello che cerca di fare non è tentare di farli arrabbiare: quando si provoca talvolta lo si fa appunto per provocare una reazione rabbiosa e violenta. Al contrario, Gesù provoca per suscitare lo spirito e calmare gli animi. Lo fa tramite un’azione insolita e inspiegabile, lo scrivere in terra, e invitando i presenti a colpire per primi la donna nel caso in cui, guardandosi dentro, ci si fosse trovati senza peccato.
Ecco Gesù cosa ci invita a fare: a guardarci dentro prima di guardare fuori, di guardare a noi stessi prima che agli altri. “Non guardare alla Legge, guarda al tuo cuore. Solo allora capirai la Legge”. È questo, parafrasando, che Gesù quel giorno disse a tutti i presenti, e lo dice a ciascuno di noi.

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Il rispetto per il mistero

Che cosa scrisse in terra Gesù? Non lo sappiamo. È un’azione insolita e strana questa, così l’abbiamo definita, e credo che l’evangelista abbia tralasciato apposta di farci sapere cosa lui stesse scrivendo. Doveva rimanere nel mistero e attirarci, affascinarci così com’è: un’azione misteriosa di cui nulla sappiamo. Questo è uno dei modi tramite cui Gesù ci educa e ci insegna a guardare a quello che fa: il nostro sguardo deve vivere nel silenzio e nel rispetto del mistero di Dio, che a noi in Cristo Gesù si rivela nella sua pienezza.

Non possiamo afferrare il mistero come si afferra un oggetto qualsiasi, e non è alla nostra portata come il cellulare, la penna o il libro… non possiamo disporne. Ad avere tutto a disposizione e sotto controllo è il mondo moderno della tecnica ad averci abituato. La nostra forma mentis è quella del potere, del diretto controllo personale su tutto e tutti, e quando guardiamo il mondo e gli altri lo facciamo come con qualcosa, e mai come con qualcuno!, che abbiamo a disposizione, di cui possiamo disporre. Quanto ci insegna Gesù anche solo scrivendo a terra, e per di più scrivendo parole che nemmeno conosciamo: che noi non disponiamo degli altri!

Gesù può sembrare indifferente al destino della donna in questo suo mettersi a scrivere e nell’invito a colpire che fa ai presenti. Ma non è così. Gesù è sommamente coinvolto. È solo che non agisce come avremmo fatto noi, da uomini, mettendoci a dibattere. Egli a volte lo fa, quando sa che serve. Adesso no. Ora serve fare un gesto forte per la sua stranezza, il mettersi a scrivere, e il dire quello che nessuno si sarebbe aspettato di sentirsi dire: colpitela pure, se credete di essere senza peccato.

Spunti per la riflessione

Noi condanneremmo oggi la donna? Questa domanda ci apre una porta sul nostro “io” contemporaneo allo stesso modo in cui la fuga dei Giudei ci ha mostrato il loro. Ad oggi, siamo più che mai abituati, e non solo abituati, talvolta anche favorevoli ai processi mediatici a persone che non sappiamo nemmeno essere colpevoli, come invece era certo che quella donna fosse una peccatrice. La nostra è una società del puntare il dito, del dubbio e del sospetto, del giudizio morale e non della misericordia.
Gesù è oltre questo modo malato di pensare. Anzitutto, egli sospende il giudizio, preferendo mettersi a scrivere in terra. Lascia che la persona guardi a sé e si giudichi da sola in merito al suo male. E poi Gesù non guarda alla forma, ma alla sostanza della persona, che è il cuore: “Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore»” (1Sam 16, 7).

Anche in questo caso, come quando Gesù scrive in terra, dovremmo fermarci a contemplare quanto il Signore sta facendo e lasciare aperta la domanda: noi cosa faremmo di fronte all’adultera?

Il che tradotto significa: noi cosa facciamo concretamente nella nostra quotidianità? Giudichiamo le altre persone? Abbiamo misericordia di loro? Le ascoltiamo? Ci mettiamo di fronte al mistero che esse sono e apriamo bene gli orecchi e il cuore di fronte alla loro miseria, che è la nostra stessa miseria? Oppure preferiamo l’apparenza al cuore? Preferiamo le quote rosa in politica e i cast multietnici nelle serie tv, disprezziamo le prostitute della statale ma chiudiamo un occhio quando vediamo la pornografia in prima serata e la facciamo passare con finta ingenuità come cosa di poco conto e anzi culturalmente progredita… tutto ciò piuttosto che amare davvero l’altro, apprezzando le sue qualità e il suo cuore, nonché prendendoci seriamente cura della sua condizione esistenziale?

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La vita e l’insegnamento di Gesù sono un inno alla libertà e all’amore, quelli veri e profondi, non astratti ma carnali, che si possono toccare con mano tanto sono concreti, e questo contro la Legge vissuta come un regolamento dell’apparire piuttosto che come una spinta alla conversione del cuore.

All’adultera, come alla peccatrice del Vangelo di Luca, viene perdonato il peccato, perché ha molto amato (cfr. Lc 7, 36-50).

“E d’ora in poi non peccare più”, conclude Gesù nel nostro Vangelo. Chissà come mai, questo invito di Gesù non pesa come un monito, ma anzi, prende il peso del peccato dell’adultera su di sé, come poi Gesù stesso farà prendendo su di sé tutti i peccati del mondo attraverso la croce.

Giuseppe Scattolini

Qui il commento al Vangelo della IV Domenica di Quaresima.

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