E un po’ di sabbia nel vento è uno scritto di Edmond Jàbes.

«Ho lasciato una terra che non era la mia,

per un’altra che neppure lo è.

Mi sono rifugiato in un vocabolo d’inchiostro

avendo, come spazio, il libro;

parole di nessun luogo, essendo quella oscura del deserto.

Non mi sono coperto, la notte.

Non mi sono protetto dal sole.

Ho camminato nudo.

Da dove venissi, non aveva più importanza.

Dove mi recassi, non interessava nessuno.

Vento, vi dico, vento.

E un po’ di sabbia nel vento».

(Edmond Jabès)

Qui un articolo di Pangea sull’autore di questa poesia:

La sapienza di Edmond Jabès è continua, riluce e sorprende. Egli ha fatto del libro un’inchiesta, della scrittura l’incunabolo di ogni irrequietezza. In realtà, questo grande poeta ha scritto cancellando. Ha dato destino di deserto alla letteratura. Ha scritto sprigionando il deserto, consegnando alla parola nitore di sabbia. E poi?, viene da dire. Chissà: forse si scrive per snodare le giunture al gesto. Sorprende che un’opera da cronachista del niente, da miniatore delle interrogazioni, di rabbi delle rivelazioni angolari, sia stata tanto chiosata, commentata, detta (da Massimo Cacciari e Maurice Blanchot, da Antonio Prete, da Jacques Derrida, da Jean Starobinski, “nessun poeta francese ha ricevuto un’attenzione critica tanto alta e continua come Edmond Jabès, che ha creato un nuovo e misterioso tipo di letteratura, tanto abbagliante quanto inspiegabile”, ha scritto Paul Auster, parecchi anni fa, nel 1977; Il libro delle interrogazioni, composto in oltre 1700 pagine è pubblicato, a cura di Alberto Folin, nella collana Bompiani del ‘Pensiero occidentale’). Quasi che fosse una morgana la nostra nostalgia di deserto.

Altri scritti sulla relazione tra fede e letteratura li potete trovare nella nostra rubrica Scribi del Mistero.

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