Il segno della Croce è una meditazione sul Vangelo secondo Marco 8, 11

In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.
Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno».
Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.
 

Tra le patologie spirituali più invalidanti c’è senza dubbio quella che vediamo all’opera oggi, definita con accortezza da Epicoco: la bulimia dei segni. E’ umano chiedere, domandare dei segni, nelle nostre giornate è un continuo chiedere, donare, interpretare segni. Senza segni, la vita sarebbe ancora più enigmatica di quello che già è. Ognuno di noi, però, ha fatto l’esperienza di come sia faticosa una relazione dove i segni sembrano non bastare mai e dove questa “sete” simbolica, che può accompagnare tutto il campo relazionale che sia amoroso o amicale, diventa sfibrante. (Per inciso sarebbe interessante la lettura di un libro, divenuto quasi un classico: “I cinque linguaggi dell’amore di Gary Chapman). Questa continua ricerca di segni non può, anche, non inficiare la nostra relazione con Dio, qui il discorso diventa ancora più complesso, se non complicato, perché il “linguaggio” di Dio è diverso dal nostro.

Nel passo marciano sovra citato si giunge all’apice in questa direzione; Gesù, poco tempo prima, era stato protagonista di un segno prodigioso: da sette pani e pochi pesciolini aveva tratto fuori cibo per circa quattromila uomini e ne era pure avanzato. Allora i farisei cosa domandano? Cosa pretendono da Gesù? Una risposta sinceramente non la possiedo, ma credo che questa ennesima richiesta getti una bella luce proprio su questo nostro continuo esigere “segni”: non ci bastano e non ci basteranno mai, qualsiasi “segno” Dio ci manderà o sarò erroneo, quindi “avanti un altro” oppure sarà “assente” e dunque si deve sollecitare che, evidentemente, non fa bene il suo lavoro.

La verità, invece, ora più che mai è sotto, o meglio davanti, gli occhi di tutti: i segni ci sono, ne abbiamo fin troppi, sia del suo amore per noi, sia della sua fiducia in noi, sia della sua pazienza verso di noi. Fin quando ci ostineremo a domandare altro, non vedremo mai ciò che in realtà c’è e ripeto in abbondanza; invece di “attendere”, occorrerebbe fare “attenzione” e guardarsi intorno e l’unico segno essenziale è presente, o al nostro collo o sui muri : un Dio che muore e risorge per noi, un segnò più grande, più forte di questo è impossibile da trovare, quindi apriamo gli occhi e il cuore ad un amore così travolgente a patto di lasciarsi coinvolgere.  Senza questo la nostra fede, che è prima di tutto fiducia, sarà sempre zoppicante e attenderà ad ogni bivio, ad ogni passo qualcuno o qualcosa che ci dica dove andare e cosa fare, ecco il senso di quel “li lasciò” finale con cui Gesù esce di scena, senza questo “apparente” farsi da parte, nessuno può iniziare a riflettere e a rileggere i segni che già abbiamo.

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