La Communicatio in sacris con Chiese e comunità ecclesiali, tra Jus Divinum, norma ecclesiastica e discernimento pastorale è la seconda parte di una riflessione del prof. Lanni Cristian su un tema molto discusso e che diviene ancora più attuale in questi giorni in cui si celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. La prima parte la potete trovare qui.

Abbiamo analizzato, nel discorso sulla communicatio in sacris, le condizioni di accesso dei cattolici alle Chiese orientali (evidentemente acattoliche) e viceversa, menzionando anche la normativa presente nel Codice dei canoni delle Chiese orientali. A questo punto non rimane che analizzare quanto la Chiesa cattolica in materia di communicatio dice circa le comunità ecclesiali, senza perdere di vista il triplice orizzonte di Jus Divinum, norma ecclesiastica e discernimento pastorale.

Communicatio e comunità ecclesiali

A differenza della disposizione che ha ammesso la communicatio in sacris con i fedeli orientali separati, emanata direttamente dal Concilio, quella riguardante i fedeli riformati rappresenta uno sviluppo successi-vo, avvenuto nel primo post-concilio con la pubblicazione della prima parte del Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo (DE), da parte del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Infatti – terminato il Concilio – fu proprio questo Direttorio a parlare per la prima volta di una estensione della communicatio in sacris anche alle comunità ecclesiali, partendo, ovviamente, dal precedente della communicatio con le Chiese orientali, così come trattata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Celebrazione dei Sacramenti ed unità della Fede

Lo fa tramite l’inserimento nel n. 55 di una formulazione complessa in cui si afferma il principio che lega la celebrazione dei Sacramenti all’unità nella fede e la conseguente impossibilità di condividere i Sacramenti con i fratelli separati quando manca l’unità di fede su di essi. Sebbene non si dichiari espressamente, si tratta di una ragione teologico-dogmatica di notevole importanza, fondato sulla Legge divina, come apparirà sempre con maggiore chiarezza in interventi successivi del Segretariato per l’Unita dei Cristiani e del Magistero pontificio. Tuttavia –  viene  subito  aggiunto  –  essendo  i  sacramenti «tanto segni di unità quanto fonti di grazia, la Chiesa per motivi sufficienti può permettere che ad essi venga ammesso qualche fratello [non orientale] separato». Una dichiarazione di natura teologica, ma con immediate implicazioni pastorali, che sono concretizzate di seguito in una nuova disposizione: «tale permesso si può concedere in pericolo di morte, o per necessità urgente (durante una persecuzione, in carcere), se il fratello [non orientale] separato non può re-carsi da un ministro della sua Chiesa e se spontaneamente richiede i sacramenti a un sacerdote cattolico, purché manifesti una fede conforme a quella della Chiesa circa questi sacramenti ed inoltre sia ben disposto». Si tratta, in definitiva, di una nuova disposizione della Chiesa, in cui vengono positivizzati e formalizzati i precedenti principi teologici, di diritto divino, mediante la formulazione di una norma, di diritto umano, emanata dall’autorità ecclesiastica competente: il Segretariato per l’Unita dei Cristiani con l’approvazione di Paolo VI. Tale  disposizione  venne  tuttavia  applicata,  sin  dall’inizio,  quasi  esclusivamente  per  la  comunione  eucaristica  e  fuori  del  pericolo  di  morte  o  delle  situazioni  di  urgente  necessità  esemplificate,  interpretando  la  nuova  norma  come  se  fosse  un’autorizzazione all’intercomunione. Di una tale applicazione si fece eco a più riprese il Segretariato per l’Unita dei Cristiani, con il tentativo di promuovere un’interpretazione in conformità con  la  legge  divina,  senza  ottenere  però  risultati  significativi,  come  è  possibile  desumere dalla frequenza e dal tenore dei documenti da esso pubblicati tra il 1968 e il 1973.

Limiti dello scandalo e dell’indifferentismo

Va tra l’altro sottolineato che sin da subito venne considerata la più grande novità contenuta dal DE [7]. Concretamente, si rese necessaria una nota del presidente del Segretariato, a fermare la diffusione di un’interpretazione della nuova norma come se permettesse l’intercomunione, che oltre a non ottenere il risultato desiderato; ebbero un altro effetto, sicuramente non voluto, poco felice. In effetti, a forza di contrastare l’intercomunione, la stessa Santa Sede finì per concentrare l’attenzione unicamente sulla comunione eucaristica, tralasciando il sacramento dell’unzione degli infermi, molto opportuno in caso di pericolo di morte, e il sacramento della penitenza, particolarmente raccomandabile in situazioni di urgente necessità spirituale e come preparazione per ricevere sia l’unzione degli infermi sia la comunione eucaristica. Non si deve infatti dimenticare che è proprio per queste situazioni che la communicatio con i fedeli riformati è stata prevista dalla nuova normativa, ritenendo che solo in tali situazioni eccezionali di urgente  necessità  è  possibile  evitare  di  ferire l’unità della Chiesa o i pericoli di adesione formale all’errore, di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo, che sono i limiti alla communicatio dalla Legge divina secondo l’insegnamento conciliare [8].

I cann. 844 C.J.C. e 670-671 C.C.E.O.

Dopo il Comunicato del 1973 non ci sono state altre dichiarazioni della stessa rilevanza da parte del Supremo Legislatore, fino alla promulgazione dei Codici canonici di 1983 e 1990. Nel Codex Jurus Canonici la disposizione del n. 55 del DE è stata sintetizzata e inserita nel § 4 del can. 844. Oltre che per la sua maggiore brevità, la formulazione canonica si distingue per indicare il Vescovo diocesano, quale autorità chiamata a giudicare nel caso concreto, invece dell’Ordinario del luogo. Di minor rilievo è stata la soppressione dell’espressione “conforme a” (consentaneam) a proposito della fede cattolica che devono manifestare i fedeli riformati circa i Sacramenti che chiedono di ricevere, come dimostra il fatto che la stessa espressione è stata ripresa nel § 4 del can. 671 C.C.E.O., senza che ciò possa effettivamente comportare una differenza sostanziale.

Il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo

Nel 1993, il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani – con l’approvazione di Giovanni Paolo II – pubblica un secondo Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo [9] nel quale sostanzialmente si sottolinea che: In caso di pericolo di morte, i ministri cattolici possono amministrare questi Sacramenti alle condizioni elencate al n. 131. In altri casi, è vivamente raccomandato che il Vescovo diocesano, tenendo conto delle norme che possono esser state stabilite in tale materia dalla Conferenza episcopale o dai Sinodi delle Chiese orientali, fissi norme generali che permettano il discernimento in situazioni di grave e pressante necessità e la verifica delle condizioni espresse. Per stabilire tali norme, si indicava di rifarsi ai seguenti documenti: Istruzione sui casi particolari di ammissione di altri cristiani alla comunione eucaristica nella Chiesa cattolica del 1972 e Nota su alcune interpretazioni della «Istruzione sui casi particolari di ammissione di altri cristiani alla comunione eucaristica nella Chiesa cattolica» del 1973. In conformità al diritto canonico [10] tali norme generali devono essere stabilite soltanto previa consultazione dell’autorità competente, almeno locale, dell’altra Chiesa o comunità ecclesiale interessata. I ministri cattolici vaglieranno i casi particolari e amministreranno questi sacramenti solo in conformità a tali norme, là dove sono state emanate. Diversamente, giudicheranno in base alle norme del presente Direttorio [11]. Nel loro  insieme  questi  testi  costituiscono  una  sorta  di  orientamenti  canoni-co-pastorali che il sacerdote, in caso di pericolo di morte, e il Vescovo diocesano, nelle altre situazioni di urgente grave necessità, devono avere presenti nell’adempimento del loro compito di verifica e di discernimento nel caso concreto, affinché  il  fedele  riformato  possa  ricevere  mediante  i  sacramenti  la  grazia  di  cui  ha  bisogno. Si tratta di un compito che non può essere considerato come una semplice, fredda e burocratica applicazione di una norma generale ad un caso particolare, bensì una vera azione pastorale, nella quale il ministro cattolico che riceve la richiesta di aiuto pastorale e sacramentale da parte di un fedele riformato, si fa carico della sua situazione e delle sue disposizioni personali, allo scopo di facili-tare che possa ricevere la grazia dei sacramenti, evitando, al contempo, eventuali pericoli,  affinché tale communicatio  in  sacris  non  sia  contraria  alla  Legge  divina sui Sacramenti, che sono, in definitiva, i due beni che la norma canonica vuole tutelare: da un lato, la salus animae del fedele riformato in pericolo di morte o in altra urgente grave necessità; dall’altro, il rispetto della Legge divina circa i sacramenti e il loro rapporto inscindibile con la fede e l’unità della Chiesa.

Limiti dello Jus Divinum alla communicatio e discernimento pastorale

Una ulteriore considerazione canonica e liturgica, ma certamente con risvolto pastorale, riguarda la  ncessità di non perdere di vista che la disposizione che regola la communicatio con i fedeli riformati, contenuta nel § 4 del can. 844 C.J.C. e del can. 671 C.C.E.O. e nei nn. 130-131 del DE 1993, deve essere osservata – come, del resto, accade con ogni norma della Chiesa – non solo in conformità con la fede cattolica e  con  i  limiti  stabiliti  dal  Diritto  divino,  ma  anche  in  armonia  con  il  resto  della  normativa canonica e liturgica in materia di Sacramenti. In questo senso, sembra necessario che si tengano nel dovuto conto sia le disposizioni canoniche e liturgiche riguardanti i sacramenti in generale, sia quelle che regolano la celebrazione dei sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi.

Condizioni generali per l’ammissione

Di particolare rilevanza, a questo proposito, sono le indicazioni e i criteri che la normativa canonica e liturgica offre ai ministri sacri circa l’ammissione ai Sacramenti di un fedele cattolico, le quali, con le cautele e gli adattamenti opportuni, sono comunque applicabili anche a un fedele riformato. Di conseguenza,  se  un  fedele  riformato  chiede  i  sacramenti  in  modo  opportuno  –  cioè,  nelle  situazioni  e  alle  condizioni  indicate  dalla  norma  canonica,  nel  rispetto della legge divina sui sacramenti e delle relative disposizioni canoniche e liturgiche – il ministro cattolico non può negare i sacramenti.

Articulo mortis e mancanza di condizioni generali

Se la situazione è di pericolo di morte, sarà lo stesso ministro a verificare se si danno le condizioni indicate dal § 4 del can. 844 e se si rispettano i limiti della legge divina e le altre norme canoniche e liturgiche. Se si tratta invece di un’altra urgente grave necessità – e non esiste una normativa speciale della Conferenza episcopale – il ministro dovrà  informare  il  Vescovo  diocesane  affinché  sia  lui  a  giudicare  nel  caso  concreto, come stabilito dalla norma canonica. Se mancano tali condizioni, più che negare i sacramenti, il ministro dovrà differirli, cercando comunque di trovare il modo di superare le mancanze che, nel caso concreto, sia possibile risolvere.

Opportuna preparazione

Un particolare accenno meritano anche le condizioni indicate dalle leggi canoniche e liturgiche, universali o particolari, per quanto riguarda la preparazione più opportuna che dovrebbe  precedere  la  ricezione  dei  sacramenti,  soprattutto  se si tratta di riceverli per la prima volta; come potrebbe succedere, molto probabilmente, nel caso di un fedele riformato. In questo senso, non va dimenticato che il ruolo delle norme canoniche e liturgiche in materia di sacramenti è quello di positivizzare e  formalizzare  quanto  stabilisce  a  loro  riguardo  la  legge  divina,  tenendo  conto  delle  circostanze  delle  persone,  dei  tempi  e  dei  luoghi,  al fine di garantire, o quanto meno di favorire, nella misura del possibile, che i fedeli sia-no ben guidati dai pastori, con l’opportuno accompagnamento e discernimento, affinché  non  ricevano  i  sacramenti  in  maniera  puramente  materiale,  ma  siano  preparati  ad  accogliere,  nel  modo  più  fruttuoso  possibile,  la  grazia  propria  dei  sacramenti. Se ciò non fosse, non  si  potrebbe  parlare  di  una  autentica  guida  pastorale  o  di  un  vero  accompagna-mento e discernimento pastorale, ma piuttosto di una, per la verità poco pastorale, amministrazione materiale e quasi burocratica dei sacramenti.

Per concludere sulla Communicatio

Conseguentemente a quanto fin ora detto, è possibile affermare che perché ci sia una legittima communicatio in sacris con i fedeli riformati, più che il rispetto formale della Legge divina o delle norme canoniche e liturgiche, e più che la decisione del ministro, dopo il necessario discernimento, di ammettere un fedeli riformato ai Sacramenti, ciò che davvero conta è che il fedele riformato sia ben disposto per ricevere la grazia sacramentale. Il compito del ministro, perciò, non è quello di discernere al fine  di  applicare  la  norma,  ma piuttosto  quello  di discernere  affinché  il  fedele  sia  in  grado  di  ricevere  la  grazia  sacramentale.  A tale scopo, è  imprescindibile  che  il  ministro tenga conto della dinamica propria dei Sacramenti in rapporto alla situazione di vita e alla fede di colui che li riceve, che devono essere in conformità con la fede della Chiesa. Una considerazione particolarmente opportuna nei confronti di qualunque persona che chiede un Sacramento per la prima volta e che, a maggior ragione, dovrebbe essere pertinente nel caso di un fedele riformato, il quale dovrà essere comunque aiutato a raggiungere le disposizioni richieste per ricevere la grazia propria dei sacramenti.

Prof. Cristian Lanni

[7] cfr. F. Coccopalmerio, La partecipazione degli acattolici al culto della Chiesa cattolica, Milano 1969, 236.

[8] cfr. A. Bea, Nota circa l’applicazione del Direttorio ecumenico, 6 ottobre 1968, EV 2, 1248. Originale italiano. Erano quindi trascorsi solo quindici mesi dalla pubblicazione della prima parte del DE (1967-1970).

[9] cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Directoire  pour  l’application  des  principes  et  des  normes  sur  l’Œcuménisme «La  recherche de l’unité», 25 marzo 1993, in AAS, LXXXV (1993), 1039-1119.

[10] cfr. can. 844 §5 C.J.C. e can. 671 §5 C.C.E.O.

[11] cfr. DE, n. 130.

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