La Divina Liturgia e la Liturgia Cattolica. Azioni «per eccellenza» tra analogie e differenze, è una riflessione del prof. Cristian Lanni.

Nel precedente articolo si è descritta in maniera più o meno esaustiva la Divina Liturgia ortodossa, con particolare riferimento allo sviluppo del Rito bizantino. Cercheremo ora, di comprendere punti in comune e differenze tra la Divina Liturgia e la Liturgia Cattolica.

Il valore della messa cattolica.

Il gesto più importante di tutta la storia del mondo è la morte e la resurrezione di Cristo. Nella nostra vita questo gesto è il sacrificio della Messa. La messa dunque è il gesto più importante della nostra esistenza perché è il gesto della morte e resurrezione di Cristo. Se infatti diciamo che siamo parte del corpo di Cristo, membra gli uni degli altri, la messa è l’espressione suprema della assemblea cristiana, di quella assemblea permanente che è la vita cristiana. La messa è il gesto supremo della comunità, del mistero nascosto di Cristo e della sua Chiesa. La fede è un giudizio nuovo sulla realtà, su ciò che val la pena di vivere. Tutto deriva dalla risposta che diamo a questa domanda. A una tale risposta la Scrittura si riferisce quando dice: «il mio giusto vive di fede» [1]. La fede è un giudizio sul valore della vita e del mondo che ha come sorgente il gesto della Sua morte e resurrezione di cui facciamo memoria. In questo gesto la comunione con Lui, con il Padre e con lo Spirito rivive, rinasce continuamente. Nella messa tutto ciò esprime la sua forza. E infatti, tutta la vita del cristiano dovrebbe essere una messa vissuta; la messa dovrebbe essere il paradigma, la struttura ideale, ispirativa, la forma di tutte le nostre azioni. Siamo chiamati a rendere vita il mistero dell’assemblea cristiana cui si fa memoria della morte e resurrezione di Cristo. Tutti i nostri gesti perciò, nessuno escluso, vi sono implicati. Ogni nostro gesto ha in dimensioni ridotte la struttura del mistero della morte e della resurrezione di Cristo, cioè la struttura della messa. La messa è un gesto unitario, però è costituito da diverse parti che realizzano i vari fattori di un’unica realtà. Seguendo intelligentemente le parti della messa potremo comprendere quali siano le caratteristiche di ogni azione della nostra vita, che dovrebbero essere le caratteristiche di ogni rapporto, di ogni giornata, di ogni progetto.

Le parti significanti della Liturgia cattolica.

La Liturgia inizia in Nome della Santissima Trinità. È la premessa della fede, quel giudizio sulla vita per il quale si riconosce che il senso della nostra esistenza, di tutta la storia del mondo, si chiama Gesù Cristo. È il mistero della Trinità, il mistero del Dio uno e trino, del Dio che è comunione. È il mistero di questo Dio che si è rivelato insediandosi tra di noi. «Nel nome»; in ebraico il nome indicava la potenza di una persona. Perciò “nel nome di” vuol dire riconoscere che tutte le cose sono sostenute dalla potenza di Dio, che tutto è Dio. Ecco la premessa di ogni azione, la vigilanza: si chiama preghiera continua. Vivere vigilanti è vivere con intelligenza, vivere con personalità. L’habitus, l’abituarsi a questo, il desiderare di abituarsi a questo lo rende più facilmente avverabile. Il giudizio di valore sulla mia vita e su quella del mondo è Cristo morto e risorto. Egli non è vissuto duemila anni fa e basta, ma tutto ciò che è accaduto allora sta investendo la storia, non secondo le forme carnali – come dice san Paolo [2] – ma secondo una presenza che sta muovendo il mondo al suo destino attraverso le nostre esistenze. «Non voi avete eletto me, ma io ho scelto voi» [3].

Segue l’ammissione dei propri peccati. Il primo fattore fondamentale di una azione convertita, di una azione cristiana è la coscienza del proprio peccato. Nessun momento vero della nostra esistenza può evitare questa autoaccusa, tranne nel caso eccezionale della Vergine Maria.

L’ascolto della Parola di Dio è parte fondamentale della Liturgia. La parola di Dio ci aiuta a capire la sproporzione tra noi e l’ideale di Cristo, ma anche ci affiata con questo ideale. Infatti nella messa, dopo il gesto della contrizione, si passa alla proclamazione della parola di Dio con il brano dell’Antico Testamento, l’Epistola, il Vangelo. Non si possono capire questi brani letti durante la Messa, se l’ascolto di quelle parole non produce in noi la consapevolezza di essere peccatori. Solo attraverso questa contrizione reale è possibile partecipare al gesto della comunità che in quel momento si sta compiendo. Così si può cogliere il richiamo profondo della parola di Dio. Il richiamo alla fede. Vivere la fede significa così che essa informa tutto, come concezione, come sentimento, come progetto, come decisione, come modo di affrontare le cose, san Paolo dice quando scrive ai Filippesi. Non esistono cose buone o cattive, ma, per i cristiani, esiste un affrontare le cose con fede o senza fede. Così si stabilisce il bene o il male, il male che logora, distrugge e corrompe la realtà, anche se noi siamo molto abili ad accusare quando dovremmo capire che la nostra infedeltà crea il disagio e la corruzione. Se allora la parola di Dio illumina la nostra vita accompagnandola con la consapevolezza della nostra sproporzione, quel dolore che avvertiamo sempre in fondo alle nostre azioni è un dolore sano, costruttivo, è un dolore che non ci arresta, che spinge ad essere migliori, è quello che san Paolo chiama la “tristezza secondo Dio” che nota la sproporzione, la pochezza e la meschinità della nostra vita, ma non si ferma lì: genera un dolore che capovolge, che converte. La consapevolezza del nostro peccato ci cambia il volto, ci riempie di desiderio di cambiare la vita. La parola di Dio converte la vita, muta il significato della vita, sempre, tutti i giorni. Questa inesauribile vitalità destata in noi dalla parola di Dio è grande, proprio perché questa parola è la verità che rimane in eterno.

Il fulcro della Liturgia è, indubbiamente la Consacrazione, della quale vorremmo esplicitare il senso di alcuni gesti. Ovviamente, tale sottolineatura dà per acquisita l’importanza teologico sacramentale dell’incommensurabile valore della transustanziazione. Primo elemento: la copertura del calice. È importante perché ritroviamo la medesima presenza nella Divina Liturgia ortodossa, in termini di tovaglie e decori per l’altare. La copertura del calice sembra essenzialmente un gesto di prudenza, per evitare che vi cadano elementi estranei, soprattutto quando contiene il vino trasformato nel sangue di Cristo. Nei primi secoli si stendeva una sola tovaglia sull’altare [5]. Le tovaglie si moltiplicarono dal secolo ottavo, probabilmente per evitare che il vino consacrato, versato accidentalmente, finisse fuori dall’altare. La prima di queste tovaglie fu chiamata palla corporalis: coprendo l’intero altare, sulla parte anteriore erano poste le offerte, mentre quella posteriore era piegata sul calice, proprio per preservarlo da impurità. Da questa tovaglia unica siamo giunti al corporale sul quale si pongono le oblate e alla palla, che può essere usata per coprire il calice. Secondo un uso greco, seguito in Palestina ai tempi di Gesù, prima di bere del vino vi si aggiungeva una modica quantità d’acqua. Le antiche preghiere eucaristiche orientali ricordano questo gesto durante l’ultima cena, pur non essendovene traccia nel Vangelo. Quando i fedeli si comunicavano sotto le due specie, l’acqua veniva versata dal diacono in capienti calici, con un gesto a forma di croce. Scomparsa la comunione al calice dei fedeli, la quantità di vino è limitata e il sacerdote vi versa solo poche gocce d’acqua. La Chiesa antica ha visto in questo gesto simbolico l’unione a Cristo che salva. Come il vino assimila l’acqua, così Gesù, unendoci a lui, ha preso su di sé i nostri peccati: «Se qualcuno offre solo vino, il Sangue di Cristo comincia a essere senza di noi, ma se offre acqua soltanto, il popolo comincia ad essere senza Cristo» [6]. Il gesto successivo è lo spezzare il pane è seguito dall’immissione di un pezzo di ostia consacrata nel calice. Rompere il pane per condividerlo era un gesto comune presso gli ebrei. Lo troviamo fra i gesti di Gesù durante la cena: la frazione del pane diventa il nome con cui la tradizione lucana indica l’eucaristia [7]. Per la liturgia antica sembra un gesto funzionale per comunicare i fedeli, assumendo una forma rituale precisa. Il rito non ha solo una funzione pratica; significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane che è Cristo, come dice l’apostolo Paolo. Ricordando l’episodio della moltiplicazione dei pani, il gesto assume un valore escatologico: tutti possono avere parte al Regno di Dio. Alla frazione del pane è legato il gesto dell’immixtio, l’immersione nel calice di un pezzo di pane consacrato. Fra le varie interpretazioni possibili, la più convincente fa riferimento al rito del fermentum. Nella messa papale una parte del pane consacrato era conservata per la celebrazione seguente, volendo indicare così la continuità del sacrificio eucaristico, un’altra parte era inviata ai vescovi suburbicari e ai preti delle chiese titolari romane. Il rito era praticato anche dai vescovi nei confronti dei preti delle chiese circostanti.

Caratteri della Divina Liturgia.

Della Divina Liturgia ortodossa abbiamo già ampiamente discusso nel precedente articolo, per tanto riprenderemo solo un paio di concetti fondamentali. La Chiesa Ortodossa adora Dio con lo stesso spirito con cui Egli viene adorato in Cielo, secondo le rivelazioni bibliche presenti in Isaia, Ezechiele e nell’Apocalisse. Ciò comporta l’utilizzo di elementi esterni quali l’incenso, i ceri, le vesti liturgiche, le prostrazioni, dal momento che adorare Dio in terra significa compiere un’esperienza che coinvolge anche il corpo. La Chiesa venera la croce, i Vangeli, le immagini del Cristo e, per estensione, tutte le icone dei Santi. Le icone, infatti, non sono adorate visto che ciò le equiparerebbe a degli idoli. Esse vengono venerate. Rendendo loro un omaggio, ci si rivolge al prototipo da esse rappresentato (Cristo). Il primo esercizio che il fedele deve compiere è quello di allontanarsi dai pensieri e dalle fantasie della vita terrena, è quello di fare un profondo silenzio in sé. Solo così i segni e i simboli liturgici cominciano a interpellare e a interagire con l’interiorità dell’uomo. Naturalmente, essendo come una palestra, la Liturgia richiede impegno. Le parole cantate devono diventare mentalità e vita di chi le canta e questo può disturbare l’annoiato e ignaro cristiano moderno.

Va sottolineato anche come sia differente l’approccio: l’ortodosso si accosta alla Liturgia come un assetato alla fontana. Prende quanto gli è necessario a dissetarsi e poi va per la sua strada. Più è grande la sua sete più sente che deve bere. E la fontana non smette di gettare la sua acqua essendo lì per quello. Ecco spiegato quell’andirivieni dei fedeli dalle lunghe Divine Liturgie. L’acqua scorre, il fedele ne prende quello che ha di bisogno e poi va.

Analogie e differenze.

Per comprendere quali siano parallelismi e idiosincrasie eventuali, tra rito bizantino e rito cattolico, utilizzeremo un procedimento per principi, in modo da procedere schematicamente e nella maniera più esauriente possibile.

Dapprima, il principio della Tradizione: Entrambe le liturgie sono il risultato di uno sviluppo organico di un antico nucleo apostolico, trasmesso attraverso secoli di fede viva; infatti, nonostante le attribuzioni di questa o quella liturgia a un santo famoso come San Giovanni Crisostomo o San Basilio, il rito è opera di vari santi, molti dei quali non siamo in grado nemmeno di nominare. Possiamo definire principio della tradizione l’atto di ricevere ciò che si tramanda. Qui miniamo le fondamenta di quel bizzarro ultramontanismo occidentale che considera la liturgia nient’altro che ciò che l’autorità papale ha promulgato, come se la Liturgia fosse un’argilla infinitamente malleabile la cui forma è interamente lasciata alla volontà dello scultore.

Secondo principio, spessore e preparazione. L’antica Liturgia romana, così come l’antica Liturgia bizantina, è pervasa di contenuti dogmatici, morali, mistico-ascetici. Le preghiere sono fitte, ricche e colme di religiosità. Sono un arazzo poetico della Scrittura e di altre espressioni devote. Si pensi ai vari tropari della tradizione bizantina, o alla ricchezza di antifone proprie del rito romano, e alle collette, ai segreti e alle post-comunioni. Strettamente connesso il principio della preparazione, adeguata e ripetuta. Sia in Oriente che in Occidente, il clero e i ministri si preparano a fondo per il loro compito prima della Liturgia, sia sedendosi a un tavolo a preparare le offerte con abbondanti preghiere, sia ai piedi dell’altare recitando il Salmo 42, il Confiteor e le preghiere di ingresso.

Terzo, il principio di veridicità. L’intero messaggio evangelico è presente nei lezionari occidentali: tanto le parti cosiddette “difficili” come quelle più facili. Più in generale, la lex orandi tradizionale contiene e trasmette con vigore apostolico la piena lex credendi della Chiesa cattolica, senza alcuna modifica imposta dalla sensibilità o dalla schizzinosità contemporanee. Dunque, nelle liturgie antiche si vedono e si ascoltano molte dottrine della fede, perché il rito stesso non le rende evidenti. Consideriamo come esempi la venerazione dovuta ai santi o l’adorazione che si deve mostrare al Santissimo Sacramento. Chi frequenta la Liturgia bizantina o quella romana fa un’esperienza viscerale della venerazione dei santi e dell’adorazione dell’Eucaristia.

Quarto, il principio della separazione. Tutte le autentiche liturgie cristiane conservano e fanno uso rituale della teologia iscritta nell’architettura del tempio dell’Antica Alleanza, che, come insegna la Lettera agli Ebrei, è ricapitolata in Cristo e quindi simboleggiata per sempre nel nostro sacrificio eucaristico. Da una parte rappresentato dalla più eloquente iconostasi, dall’altra dal progressivo simbolismo della sopraelevazione dell’altare rispetto all’assemblea. L’efficienza di dimostrare questa separazione tra la ieraticità dell’azione sacramentale compiuta nel bema o nel presbiterio, dimostra l’intenzione dell’una e dell’altra Liturgia di attirare prepotentemente lo sguardo e l’attenzione del fedele sulla gloria nascosta di Dio.

Dunque, certamente nella densità dottrinale, nella Tradizione, nella sottolineatura della separazione tra il sacro mistero e il mondo si giocano le analogie più importanti tra Divina Liturgia e Liturgia romana.

Sembra dunque calzante chiosare con una espressione del Pontefice Francesco sulla Liturgia, laddove afferma che la Liturgia è «azione sacra per eccellenza; nessun’altra azione … ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» [8], chiosa egualmente valida per i bizantini e per i cattolici.

Prof. Cristian Lanni

Altri articoli sulla liturgia a cura del prof. Lanni, sono presenti nella nostra rubrica: ABC Liturgico.

[1] Rm. 1,17.

[2] cfr. 2Cor. 5.

[3] Gv. 14.

[4] Fil. 4, 8: «Tutto ciò che vi è di vero, di puro, di giusto, di amabile, degno di lode da parte di tutti gli uomini, sia oggetto dei vostri pensieri».

[5] Come mostra il mosaico monumentale di San Vitale a Ravenna.

[6] Lettera di Cipriano di Cartagine a Cecilio.

[7] cfr. At 2,42; 20,7. [8] Francesco PP., Messaggio in occasione del Congresso Eucaristico nazionale della Germania, 30 maggio 2013.

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