Dopo aver dedicato molti articoli alla Liturgia occidentale e romana e ambrosiana, vorremmo dedicarne qualcuno alla Liturgia orientale e particolarmente alla Divina Liturgia bizantina dei fratelli ortodossi, per cogliere alla fine come anche nella nostra Liturgia occidentale siano presenti taluni elementi.
Il Rito bizantino.
Questo rito si sviluppa nel patriarcato ortodosso di Costantinopoli e gradualmente viene adottato, durante il Medioevo, dagli altri patriarcati ortodossi calcedonesi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Esso comprende vari aspetti, molto complessi e differenziati: La Divina Liturgia (Eucarestia); gli altri misteri-sacramenti: Battesimo, Confermazione, Incoronazione-matrimonio, Unzione, Penitenza e Ordinazione; Il mattutino, i vespri, le vigilie. Inoltre si sottolinea l’anno liturgico, con il suo calendario di cicli fissi e mobili di feste e giorni di digiuno e di santi e una varietà di celebrazioni minori. Sinteticamente la storia della Liturgia Bizantina si può suddividere in varie fasi: La storia della liturgia bizantina si può dividere in 5 fasi: l’epoca paleo-bizantina, la fase imperiale, specialmente dal Regno di Giustiniano (527 565) e dei suoi immediati successori, in cui si sviluppò un sistema di liturgia cattedrale che sopravvisse per qualche tempo alla conquista Latina; l’alto Medioevo: 610-850; l’epoca studita: 800 -1204 ed una fase di sintesi finale neo-sabaita, dopo la conquista latina.
Le principali caratteristiche. Dal 381 al 451, per la prima volta, nelle omelie di Gregorio di Nazianzo (379-381) e di Giovanni Crisostomo (398-404), si parla di «liturgia costantinopolitana». Questa liturgia presentava delle caratteristiche ben precise e ben definite. Anzitutto l’Anafora eucaristica: antiochena, forse la sola vera caratteristica unificante, visto che non si può parlare di «rito» come un corpo unificato di usi liturgici all’interno di un’unica circoscrizione ecclesiastica, dato che i primi tre secoli del cristianesimo conobbero lo sviluppo di una moltitudine di usi liturgici locali. Fu solamente nel Concilio Trullano del 692 che la Liturgia Bizantina acquista una sua unità: ci si esprime contrariamente rispetto alle pratiche liturgiche Armene e Latine e si stila un corpus di Liturgia abbastanza unitario, il Codice Barberini, della metà del secolo VIII. Nel VI secolo, sotto l’influsso di Giustiniano, il quale aveva costruito la nuova Hagia Sophia, dedicata il 27 dicembre 537, il rito bizantino divenne imperiale e la chiesa come edificio divenne una realtà significativa nel rito di Costantinopoli. In precedenza si attribuiva ben poco di simbolico o di teologico all’edificio della Chiesa bizantina e la maggior parte delle descrizioni liturgiche ignoravano semplicemente l’edificio ecclesiale. Esse trattavano piuttosto quello che avveniva fuori dalla chiesa, nelle processioni stazionali e negli uffici lungo le strade principali porticate della città di Costantino.
La Liturgia stazionale.
La prima manifestazione di questa liturgia stazionale si ebbe con Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, i quali intrapresero una vigorosa politica di contrattacco, creando stazioni liturgiche da opporre alle celebrazioni ancora popolari degli ariani, prima e poi contro i frequentatori dell’ippodromo. Queste celebrazioni stazionali lasciarono un segno indelebile nella Divina Liturgia. Gli ingressi, le processioni e gli accessi al luogo sacro giunsero a caratterizzare tutta la liturgia bizantina e queste processioni all’aperto, con il èassare del tempo avvertirono l’esigenza di terminare in un luogo che fosse sacro. Così si passò ben presto a terminarle nelle Chiese. Tale attività processionale fu direttamente responsabile della forma caratteristica dell’antica chiesa costantinopolitana, con numerosi ingressi sui quattro lati dell’edificio. La disposizione liturgica della Chiesa giustinianea fu dettata dal carattere stazionale del rito urbano, poiché le processioni si arrestavano nell’atrio prima di riempire la navata con i dignitari. Questo comportò l’aggiunta di un luogo per unire il popolo in attesa di questo ingresso solenne perché, a differenza dell’antica Roma, il popolo non entrava in chiesa prima di salutare l’arrivo della processione di ingresso: di qui l’ampio atrio. Un edificio esterno, per lo stesso motivo, dove il popolo poteva offrire ai suoi doni prima che la basilica venisse «aperta liturgicamente» con la preghiera di introito e l’ingresso solenne del clero e del corteo imperiale: di qui lo skeuophylakion (costruzione separata all’esterno). Poiché nell’introito costantinopolitano, a differenza dell’introito dell’antica Roma, il clero e il popolo entravano insieme nella chiesa, bisognava procurare un accesso facile e rapido dall’esterno alla navata e alle gallerie: ecco il perché delle porte monumentali. Un luogo protetto per il patriarca e il suo seguito: per attendere e salutare l’imperatore; per aspettare l’arrivo della processione stazionale; per recitare la preghiera di introito davanti alle porte legali: di qui il monumentale nartece. Un’altra disposizione particolare della chiesa costantinopolitana era il synthronon elevato e la cattedra dell’abside, perché il vescovo potesse essere visto mentre predicava dal trono. Nel periodo alto-medievale Germano di Costantinopoli offrì una nuova lettura mistagogica dell’edificio sacro e della liturgia. A partire dalla cupola, sulla quale era rappresentato il Pantocratore, intesa come unione tra la terra e il cielo. Modifica anche l’interpretazione della Divina Liturgia come celebrazione eucaristica: non solo più vista come anamnesi, ma anche come figura attuale della storia della salvezza in Gesù. Il celebrante terreno è visto come un’immagine del sommo sacerdote celeste e la liturgia terrena come un’icona della sua eterna oblazione celeste. Il «piccolo ingresso» (del Vangelo) rappresenta la venuta di Cristo nel mondo. L’edificio dunque si interseca alla sacralità dell’azione compiuta: in nessuna tradizione liturgica un edificio ha giocato un ruolo paragonabile alla Santa Sofia giustinianea. Sia la forma del rito bizantino che il suo significato – rappresentato in scala minore nelle costruzioni posteriori – furono definiti in questa chiesa cattedrale. La novità di questo edificio, più che la sua sorprendente architettura, fu la visione creata dal suo straordinario interno. Con Santa Sofia la domus ecclesiae divenne il nuovo Tempio e Giustiniano superò Salomone, come la leggenda gli fa esclamare in occasione della sua dedicazione nel 537. Gli splendori imponenti della sua grandezza e il fulgore della sua luminosità indussero gli osservatori ad esclamare in unanime accordo che là c’era il cielo sulla terra, il santuario celeste, un secondo firmamento, l’immagine del cosmo e il trono della gloria stessa di Dio.
La riforma liturgica.
Fu dall’800 in poi, con l’epoca studita, che si ebbe una vera e propria riforma della Divina Liturgia. Nel breve patriarcato di San Metodio (4 Marzo 843 -14 giugno 847), infatti, la liturgia di San Giovanni Crisostomo sostituì la liturgia di San Basilio ed inoltre vi fu l’organizzazione dell’Euchologion (Libro delle preghiere) che contiene le preghiere usate da coloro che presiedono vescovi o sacerdoti per qualsiasi celebrazione liturgica. Questa riforma si diffuse gradualmente nelle periferie. In sintesi, prima del VII secolo, Gerusalemme aveva il primato liturgico; dalla metà del VII secolo l’influsso fu reciproco e Costantinopoli divenne sia un beneficiario che una fonte di diffusione liturgica; dal IX secolo rapida bizantinizzazione liturgica dei patriarcati ortodossi di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, indeboliti dal monofisismo, dalle conquiste islamiche e dalle crociate. Nel monastero di Studion, poi, ritroviamo una sintesi tra elementi dell’ufficio di Hagia Sophia e il typikon palestinese.
L’architettura delle Chiese.
Il ruolo dell’architettura delle Chiese gioca una funzione assolutamente primaria e grandemente indicativa della mutazione avvenuta nella Divina Liturgia soprattutto fra i periodi pre-iconoclasta e post-iconoclasta.
Nella prima fase furono certamente più percettibili, a livello concreto di pietà popolare, furono i cambiamenti nell’architettura, nella decorazione e nella disposizione liturgica della Chiesa. Ogni singola caratteristica della disposizione originaria della Chiesa costantinopolitana cambia dopo l’iconoclasmo. Le caratteristiche più rilevanti delle basiliche e chiese di epoca pre-iconoclasta erano lo spazio lo stile basilicale spazioso, con una sola abside un grande atrio il nartece e le entrate monumentali su tutti i lati. All’interno la pianta era straordinariamente aperta senza divisioni interne, senza absidi laterali. Lo skeuophylakion (sacrestia) si trovava all’esterno. L’altare si trovava di fronte all’abside non nell’abside perché l’abside era occupata dal trono e dal syntronon, elevato su più gradini. La chiesa del periodo post iconoclasta, invece, spesso molto piccola, era tutta volta all’interno: senza atrio o ingressi monumentali; l’altare ritirato dentro il nuovo santuario chiuso, a triplice abside; piccola abbastanza da poter essere coperta di affreschi su tutta la superficie interna; lo skeuophylakion non era più necessario (i doni sono preparati nella prothesis nell’abside laterale). Se l’interpretazione teologica della nuova spiritualità era stata canonizzata nei commentari liturgici, tuttavia poteva essere comunicata alle masse solo attraverso la celebrazione rituale, la disposizione liturgica e la decorazione dell’edificio ecclesiale. L’uso di programmi estensivi di una tale arte rappresentativa cominciò a Costantinopoli solo nel periodo medio bizantino, dopo il Trionfo dell’Ortodossia nell’843, quando fu elaborato un programma iconografico per esprimere la visione iconofila a coloro che non erano ancora stati raggiunti dalle produzioni letterarie di Germano.
L’ultimo periodo liturgico è quello della sintesi neo-sabaita, postumo rispetto alla conquista latina. Il processo di monasticizzazione, già in atto dopo la fine della controversia sulle immagini sacre, si intensificò sotto la dominazione latina, quando il clero secolare fu incapace di mantenere la complicata liturgia della Grande Chiesa e si arrese alla monasticizzazione degli uffici liturgici. Dall’XI secolo, i monaci palestinesi rielaborarono la sintesi studita per adattarla alle loro necessità. Tale rito neo-sabaita divenne popolare, nei monasteri studiti di Costantinopoli, Monte Athos… Ampia diffusione dei nuovi usi sabaiti grazie all’esicasta agiorita Filoteo Kokinos (morto nel 1379), igumeno della Grande Lavra, due volte patriarca di Costantinopoli. L’uso neo-sabaita, nella codificazione atonita del XIV secolo, è ciò che noi conosciamo ancora oggi con il nome di «rito bizantino». Nel XVI secolo, gli usi locali avevano ceduto il posto al nuovo sistema e nel XVII secolo, i libri liturgici stampati a Venezia erano in uso ovunque.
Elementi della Divina Liturgia.
Il primo elemento è l’altare della Chiesa ortodossa; detto anche Santa Tavola, è situato al centro del santuario, di fronte alle porte regali. La forma è quadrata o rettangolare ed è costruito soprattutto in pietra, marmo, legno o materiali metallici. Al centro vi è un’urna che contiene le reliquie di almeno tre Santi Martiri. Quest’urna preziosa e sacra è immersa in un composto di cera vergine e resine aromatiche, che vengono fuse insieme il giorno della consacrazione del luogo di culto stesso. Inoltre, in questo giorno di cerimonia vengono anche posti ai quattro angoli dell’altare, i nomi dei quattro Evangelisti ed i loro simboli. Il secondo è il Katasarkion (dal greco, «sopra la carne) è un telo di lino bianco che copre il sudario funebre del Signore; posto sulla tavola del Santo Altare, dal quale non verrà mai rimosso. Terzo elemento, gli Ependytes Questi teli d’altare, elaborati, simboleggiano la gloria di Dio, poiché la tavola dell’altare rappresenta il trono di Dio. il quarto elemento è l’Antimension o Antimins (dal greco: «invece della tavola»), è uno degli arredi più importanti dell’altare nelle liturgie delle Chiese Cristiane orientali. Si tratta di un pezzo rettangolare di stoffa, o di lino o di seta, decorato con rappresentazioni della Deposizione di Cristo dalla croce, i quattro Evangelisti, e iscrizioni relative alla Passione. Una piccola reliquia di un martire è cucita in esso. L’Antimension è consacrato durante il rito di consacrazione della Chiesa insieme alla Chiesa e al Santo Altare. In esso vi sono il nome della chiesa, firma e sigillo ufficiale del vescovo. Sempre presente anche il Libro del Santo Vangelo. Contiene la Buona Novella di Cristo e il contenuto principale della rivelazione cristiana. Sulla Tavola del Santo Altare il Vangelo rappresenta gli insegnamenti di Cristo. È posto direttamente sopra l’Antimension. Peculiarissimo è l’Artoforion o Teca Elaborata scatola d’oro e d’argento con una cupola portacroce in cui viene posto il Corpo presantificato di Cristo e riservato per la Comunione alle persone che non possono partecipare alla Liturgia a causa di malattie o altri motivi. Un elemento certamente apparentemente estraneo è la menorah. Il primo tentativo di spiegare il significato è di Filone di Alessandria. Nella sua interpretazione del libro dell’Esodo, collega la struttura della menorah con quella dell’universo, dove la posizione centrale è occupata dal sole (il ramo centrale della lampada). I rami della menorah simboleggiano i pianeti del sistema solare. Giuseppe Flavio continua questa tradizione e prosegue con l’interpretazione cosmica della menorah come sistema di pianeti (Antichità Giudaiche, 3.146). Apocalisse di Giovanni descrive la visione del Figlio dell’uomo, in piedi in mezzo a sette lampade d’oro (Ap 1, 12). Il candelabro a sette bracci personificava le sette chiese dell’Asia o l’intera pienezza della Chiesa come Corpo di Cristo. Nell’insegnamento ortodosso, la Chiesa è creata e alimentata dai sacramenti, il cui numero coincide provvidenzialmente con quello delle lampade della menorah. Non sorprende, quindi, che i teologi cristiani abbiano iniziato a considerare il candelabro a sette bracci come un simbolo dello Spirito Santo, per mezzo del quale vengono celebrati i sacramenti della Chiesa e attraverso il quale Cristo governa e presiede la sua Chiesa. Ultimo elemento che vogliamo sottolineare è il Kandili, una lampada ad olio che contiene la luce eterna e viene tenuta sempre accesa davanti all’Artoforion, sulla Tavola dell’altare. È il simbolo della Chiesa di Cristo che risplende con la luce della grazia per illuminare tutti gli uomini e rappresenta la presenza costante di Cristo.
La Divina Liturgia segue uno schema fisso, sebbene le letture e gli inni varino secondo il calendario liturgico. È interamente cantata e consiste in tre parti: Liturgia della preparazione: include l’introito e le preghiere di vestizione dei celebranti e la preparazione dei doni. Liturgia dei catecumeni: nell’antichità ai catecumeni era permesso assistervi. È chiamata anche liturgia della Parola. Liturgia dei fedeli: nell’antichità solo i battezzati in stato di grazia vi erano ammessi. Ora questa restrizione si applica solo all’accesso all’Eucaristia. Quattro i riti. La Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, celebrata nella maggior parte dei giorni dell’anno; la Divina Liturgia di san Basilio Magno, celebrata nelle cinque domeniche di Quaresima, nella festa di san Basilio (1 gennaio), la vigilia del Natale e dell’Epifania, il Giovedì Santo e il Sabato Santo; la Liturgia dei Presantificati, celebrata i mercoledì e venerdì di Quaresima e i primi tre giorni della Settimana Santa. Consiste essenzialmente nell’ufficio dei vespri ai quali si aggiunge la liturgia eucaristica, ad eccezione della consacrazione che avviene in precedenza. Nel rito latino si conserva in forma analoga nella liturgia del Venerdì Santo; la Divina Liturgia di san Giacomo di Gerusalemme, celebrata una volta all’anno in occasione della festa del santo, tradizionalmente a Gerusalemme, ma anche in altri luoghi.
La controversia sull’Epiclesi.
La teologia cattolica e la teologia ortodossa sono unite quando professano la loro fede nella realtà della presenza eucaristica, ma sono purtroppo divise quando disquisiscono sul momento in cui la presenza si produce. Mentre la tesi cattolica rivendica in maniera assoluta ed esclusiva l’efficacia consacratoria alle parole istituzionali (Questo è il mio corpo / Questo è il mio sangue), la tesi ortodossa la vincolarla in maniera altrettanto esclusiva alle parole dell’epiclesi. Tale contrasto, che affonda le radici in una svolta operata dalla scolastica occidentale, ha trovato terreno fertile nella contrapposizione tra Roma e Bizanzio.
Prof. Cristian Lanni
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