“Le campane”, così mi ha risposto Ilaria, la mia fidanzata, alla domanda: “Cosa ti ricorda la parola Montegiovi?”. Sì proprio le campane, silenziose di notte ma che scandiscono ogni momento della giornata della Fraternità della Speranza e degli ospiti che – come noi – decidono di condividere con loro alcuni giorni.

Sei rintocchi, sono le sei, un rintocco per ogni ora del nuovo giorno. Non occorre alcun’altra sveglia, ti tiri su forse un po’ stordito, un po’ confuso per l’insolita alzata.

Nella piccola chiesetta di San Giustino, in una forte penombra che ti avvolge come la Misericordia di Dio, i cinque monaci è come se ti aspettassero, ognuno al proprio posto, seduti sui loro panchetti, vigili e in attesa di iniziare la preghiera con lo sguardo rivolto all’altare dove si intuisce una Presenza discreta ma inconfondibile. Una Presenza che poi nutrirà la giornata facendosi cibo per te al termine della preghiera delle Lodi Mattutine attraverso la comunione Eucaristica.

Quattro fratelli ed una sorella: Stefano, Federico, Paolo, Anna e Luca. Tutti, terminata la preghiera, ti accolgono con un sorriso o con un breve saluto perché la fame si fa sentire ed è ora di far terminare il digiuno notturno.

Poi, eccole di nuovo le campane per avvertirci che è ora di iniziare il lavoro. Per noi un lavoro leggero, per lo più artigianale, lavoro di mani e di cura. Denocciolare le ciliegie per poi trasformale in frutta sciroppata oppure in un gradevole liquore o in alternativa– e sinceramente l’ho preferito di più – andare a raccogliere la lavanda per lasciarla macerare nell’olio e creare l’oleolito, un toccasana erboristico per leggere emicranie e nei periodi di forte stress.

Arriva l’ora del pranzo, sempre scandito dalle fedeli ed inesauste campane, lo consumiamo nella foresteria, una casetta attigua al monastero ed alla chiesa. A farci compagnia è un monaco a turno, è un momento bello di dialogo, di domande, di allegra convivialità. Il tutto incorniciato da un perenne rendimento di grazie verso il Padre provvido e buono che non fa mancare il cibo ai suoi figli.

Qualche faccenda insieme e poi un breve, brevissimo riposo. Infatti quando rintoccano le tre del pomeriggio, arriva il momento per me in assoluto più duro della giornata: la preghiera dell’ora media. Ascoltare le Letture dei Padri della Chiesa in piena digestione è una continua lotta contro la ‘dea pennica’, però si cerca di resistere e di trarne qualche spunto edificante.

Il pomeriggio è dedicato a qualche uscita fuori porta: la bellissima Arezzo con le sue chiese, le sue storie e le sue terracotte oppure la francescana La Verna, una vera e propria salita al monte dove l’attesa viene ripagata da un’atmosfera di densa spiritualità che ti invoglia alla contemplazione.

Si torna alla casa-base, o meglio al monastero-base, lì ci attende la cena preparata con fantasia da uno dei monaci presenti, anche qui il pasto viene consumato in lieta compagnia di uno di loro. Non ci si attarda troppo perché da lì a pochi minuti, intorno alle 21, ci si ritrova, di nuovo in chiesa, per la preghiera vespertina. Essa si svolge nelle ore serali per permettere ai monaci, ognuno impegnato con il proprio impegno lavorativo, di essere presente con maggiore facilità ed anche serenità.

La Fraternità della Speranza, nella sua preghiera serale, ha fatto la scelta liturgica di rivivere la Pasqua ogni settimana. Si inizia il giovedì con la preghiera di adorazione, si prosegue il venerdì con la preghiera attorno alla croce e si termina il sabato con la preghiera della luce.

Alle 23 le campane, dopo averci accompagnato in ogni momento della giornata, tacciono. Sta per iniziare il grande silenzio della notte, ci si congeda con qualche battuta in amicizia in compagnia dei gatti, veri custodi del borgo aretino e ci si augura la buonanotte.

Pronti per andare a riposarci perché un altro giorno ci attende nella Fraternità della Speranza.

Ilaria e Paride

Ecco il link per conoscere e contattare la Fraternità della Speranza: https://fraternitadellasperanza.com/

Qui, invece, troverete Vincenzo e Franca che ci parlano del loro “Eremo di famiglia”.

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