Questo articolo ci aiuterà a rispondere ad una domanda importante: la liturgia è un itinerario verso Dio?

Il sacrificio e la preghiera

Il tesoro della presenza reale di Cristo Signore all’interno del rito è, senza ombra di dubbio, quanto la Chiesa deve più gelosamente custodire facendo in modo che tutto, nel rito stesso, concorra a mettere in rilievo il primo mistero della salvezza che viene celebrato. Dopo aver evidenziato l’aspetto dell’azione liturgica per la salvezza e la santificazione degli uomini ed il ruolo della Scrittura, nell’itinerario verso Dio, osserveremo il ruolo del sacrificio e quello della preghiera, per concludere poi, con due osservazioni peculiari.

Il ruolo del sacrificio nel linguaggio rituale

Cristo “è presente nel sacrificio della Messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora sé stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche” [7].

La presenza così descritta ed indicata – nella sua offerta sacrificale e, soprattutto, sotto le specie eucaristiche – conduce direttamente al cuore dell’influsso di grazia che il sacro liturgico ha sull’itinerario verso Dio. Siffatta concezione riconduce a due ulteriori riflessioni, una suggerita direttamente dall’ascolto dell’Apostolo Paolo, il quale afferma “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale [8] e ancora “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me [9]

Per Paolo tutta la vita del cristiano è un sacrificio, assieme presenza reale, ma anche riferimento necessario e continuo al mistero stesso di Cristo, del quale il cristiano non è un semplice imitatore, ma è partecipe dello stesso mistero, fatto presente nell’atto liturgico dell’offerta sacrificale. In virtù dell’opera dello Spirito Santo, infatti, diventa reale la contemporaneità tra il mistero della salvezza e il tempo dell’uomo. In ragione di ciò, proprio come l’Apostolo esorta, l’anima cristiana è chiamata a farsi sacrificio vivente, liturgia vivente, ovvero tradurre nella vita il mistero celebrato affinché questo stesso divenga la vita del cristiano. È la santità stessa della Chiesa che si materializza nella santificazione del singolo attraverso la partecipazione attiva al sacrificio quale atto fondativo della stessa esperienza cristiana [10].

La seconda riflessione porta alla sottolineatura di due diversi risvolti dell’atto sacrificale.  Anzitutto il sacrifico di Cristo è un sacrificio di adorazione. Attraverso il dono integrale e radicale della propria vita, il Signore asseconda deliberatamente il disegno del Padre, conformandosi alla Sua volontà; grazie a Cristo la vita dell’uomo non è più dissonante rispetto al disegno di Dio, ma anzi è ristabilita l’adesione piena e definitiva tra Creatore e creatura. La morte e la resurrezione del Signore sono il segno di una rinnovata umanità, umanità risanata perché salvata dal dramma della separazione da Dio nel tempo dell’eternità. L’Eucaristia “è l’incontro e l’unificazione di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto realizzarsi secondo le modalità dell’adorazione. Ricevere l’Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui” [11].

Il secondo risvolto riguarda una seconda qualità del sacrificio eucaristico: la propiziazione. Nell’essere cruenta dell’immolazione del Signore, questi ha voluto che la sua morte fosse anche propiziazione per tutti i peccati del mondo. In effetti, il dono sacrificale della croce suppone il peccato, ma al tempo stesso lo sconfigge in perpetuo a vantaggio di tutti. Per questo, nella partecipazione liturgica al sacrificio di Cristo, l’anima cristiana riceve in dono la capacità di alterità radicale rispetto al male in ogni sua forma. In questa alterità ha inizio l’itinerario verso Dio. Tale capacità, dono di grazia, avrà poi bisogno di essere confermata e progressivamente alimentata nel corso della vita e dell’esistenza, riproporsi quale sincero pentimento di fronte a qualsiasi compromesso, anche minimo con il peccato. In fine, dovrà commutarsi anche in accettazione della sofferenza nella propria vita come forma di collaborazione con il Salvatore, nell’opera di riscatto a favore dei fratelli, accomunati dallo stesso destino di colpa. Si comprende così l’importanza delle preghiere e dei gesti che, nel corso della Santa Messa, favoriscono l’atteggiamento penitenziale e di conversione. Ma non solo, il sacrificio rende partecipe l’anima di una sorta di “ritorno” al Padre che potremmo definire addirittura universale. Nella lode, infatti, l’umanità intera innalza un inno a Dio per la salvezza donata. Nell’atto sacrificale rinnovato dalla liturgia della Chiesa, tutto il cosmo rivolge al Creatore Redentore l’inno di grazie per la salvezza ricevuta come dono di grazia.

Tutto questo diviene realtà nell’ascolto partecipe, riverente e silenzioso della Preghiera eucaristica. In questa, che è la grande preghiera di azione di grazie e di santificazione, “il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio” [12].

Il ruolo della preghiera

Cristo “è presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18, 20)” [13].

La citata affermazione conciliare ci porta a considerare l’itinerario verso Dio, in quanto inserita nel mistero della Chiesa. A tal proposito possono essere fatte ulteriori tre considerazioni di carattere generale, ma legate alla tematica della preghiera.

In primo luogo, il mistero della Chiesa che la liturgia fa presente non è l’assemblea visibile: attraverso di essa e per essa è tutta la Chiesa che si fa presente… Con Cristo si fanno presenti i Santi che sono un solo Corpo con Lui. È presente Dio che si comunica, ma Cristo non è realmente presente se non è presente con Lui un’umanità, cui Egli si è veramente comunicato. La Chiesa si fa presente non tanto nell’assemblea, quanto per mezzo dell’assemblea visibile: l’assemblea è la condizione e il segno della presenza di una Chiesa che è peregrinante negli uomini quaggiù ed è già trionfante nella presenza dei Santi” [14]. In questo modo, mediante l’atto liturgico, il cristiano rinnova e contemporaneamente approfondisce l’esperienza della Chiesa, intima comunione tra terra e Cielo. E nella liturgia davvero il Cielo si rende presente all’uomo sulla terra, riuscendo ad impressionare l’uomo nel senso che la grandezza e la bellezza del mistero di Cristo si imprimono in maniera indelebile ed integrale nel cuore dell’uomo, facendolo capace dell’annuncio di speranza. Tale capacità araldica è specchio di quell’impronta di Cielo che l’uomo ha insito in sé e si fa essa stessa una voce eloquente nei confronti del mondo: richiamo forte alla gioia della salvezza. Insieme, capace di speranza perché quanto gli occhi hanno visto, aprono ad un tempo nuovo, il tempo dell’eternità di Dio. È quel “per sempre” che ci attende al di là della fine dei giorni terreni di ciascuno. D’altra parte, la celebrazione liturgica, nel suo rendere presente il mistero della Chiesa, consente all’anima cristiana di prendere parte a quel cammino spirituale che Romano risveglia il senso di Chiesa nelle anime di ciascuno. Lì, infatti, si avverte la vitalità della Chiesa; lì si entra in relazione con quel soggetto vivente che abbraccia il tempo e lo spazio riconducendoli a Dio; lì si percepisce di essere parte di una comunione di amore che discende dal Capo, che è Cristo, e fonde in un corpo solo noi, sue membra. E l’anima cristiana, essa stessa, diviene Chiesa perché in lei si rende in qualche modo presente il mistero dell’unità tra Cielo e terra.

Una seconda riflessione porta naturalmente alla considerazione della presenza, col Signore, nella Chiesa che prega, dei Santi e della Vergine Maria. Dei Santi, ovvero di coloro che vivono definitivamente in Cristo; della Vergine, nella quale tutta la Chiesa si identifica, in cui si rivela la redenzione compiuta. Se è vero che la liturgia contempla Dio che si comunica al mondo in Cristo e contempla un mondo tutto pervaso dalla gloria di Dio, allora questo mondo di comunicazione in Cristo e pervasione di gloria non può che corrispondere con la Vergine Maria. La donna, la piena di gloria, per cui il Cristo ha avuto accesso al mondo. Tutta la creazione non riceverà mai Dio più di come l’ha ricevuto Maria, mistero della presenza di Dio sulla terra. La Vergine non dice altro che “Dio”. Lei, che è puro cristallo, non ferma a sé ma rimanda a Dio. Questa è la Vergine, questa è anche la Chiesa, la Sposa che si abbandona totalmente all’Amore per riceverlo tutto. L’anima cristiana, dalla contemplazione liturgica della Vergine Sposa e dei Santi, apprende quale sia la sua chiamata.

Due elementi conclusivi

A conclusione di questo itinerario, vogliamo considerare ancora due questioni, rilevanti. Da una parte la custodia del sacro e dall’altro ciò che taluni chiamano “elogio dell’otium

Se si è partiti dal richiamo alla sacralità liturgica per fondare il discorso dell’itinerario verso Dio e se, a più riprese, si è cercato di indicare in quale modo una tale sacralità fonda e accompagna il percorso spirituale dell’uomo, ricordiamo quanto sia importante che la celebrazione liturgica, ogni celebrazione liturgica sappia custodire il “sacro liturgico”. La custodia di quest’ultimo significa custodire in forma chiara e nitida la realtà della presenza e dell’opera di Cristo all’interno del Rito, facendo in modo che tutto concorra a mettere in risalto il primato del mistero della salvezza che viene celebrato. Infatti, “se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice” [15]. In questo senso la custodia attenta e premurosa del sacro è un servizio prezioso all’anima cristiana e al suo itinerario verso Dio. L’ormai celebre adagio “la bellezza salverà il mondo” è quanto mai appropriato in questo contesto. Solo la bellezza, ovvero solo Gesù Cristo può salvare il mondo. Solo la sua bellezza, custodita dalla sacralità della liturgia, potrà attirare l’anima cristiana nel mondo nuovo della santità, dove la stessa bellezza di Dio è comunicata all’uomo e diventa concretamente attingibile da tutti.

Il richiamo alla dimensione del sacro, insito nella liturgia, per illustrare l’itinerario dell’anima verso Dio ha inteso privilegiare la dimensione oggettiva della vita spirituale rispetto al percorso soggettivo. Il che, in altri termini, significa anche affermare il primato della via dell’accoglienza del dono rispetto a quella della confusa e affannata ricerca. In fondo, si tratta dello specifico della fede cristiana applicato all’itinerario spirituale dell’uomo. In tale contesto bisogna chiarire cosa si intenda per otium. Non è certo l’atteggiamento di chi di chi assale, invade, ma di chi s’apre accogliente; non sta nel comportamento di chi stringe afferrando, ma di chi allenta, di chi si distende, abbandonandosi, quasi come s’abbandona il dormiente [16]. E in tal senso, appunto, è ciò che accade nel cuore dell’uomo quando egli si trova in armonia con la verità di sé, è la condizione spirituale che nasce dall’adesione al dono di Dio, simile al colloquio degli amanti che si nutre di intimo accordo. L’“otium” è ciò che accade nel cuore dell’uomo quando egli si trova in armonia con la verità di sé, è la condizione spirituale che nasce dall’adesione al dono di Dio, simile al colloquio degli amanti che si nutre di intimo accordo.

Per concludere, l’anima cristiana ha di fronte a sé una duplice via: quella dell’“otium” e quella della “acedia”, intesa come mancanza di armonia con il proprio essere e, in ultima analisi, con Dio. L’azione sacra della Chiesa che è la liturgia si propone all’anima cristiana come scuola alta di “otium”, ovvero di quella contemplazione attiva che apre alla partecipazione della salvezza donata da Dio. Di questo “otium” si è inteso fare qui l’elogio. Perché è proprio in virtù di questo “otium” che l’anima cristiana può compiere felicemente il proprio itinerario verso Dio.

Prof. Cristian Lanni

[7] Sacrosanctum Concilium, n.7.

[8] Rm 12,1.

[9] Gal 2, 20.

[10] cfr. D. BARSOTTI, Il mistero della Chiesa nella liturgia, p. 172.

[11] BENEDETTO PP. XVI, Discorso alla Curia Romana, 22.XII.2005.

[12] Ordinamento Generale del Messale Romano, 78.

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