La Quaresima tra Rito Romano e Rito Ambrosiano vuole essere una riflessione argomentata del prof. Lanni sul rapporto spesso poco approfondito tra questi due riti. Altri articoli del prof. Lanni sulla Liturgia e le sue sfumature sono nella nostra rubrica ABC Liturgico.

La numerazione del cammino            

Il termine Quaresima, o anche in liturgia Quadragesima, rimanda chiaramente a due cose. La prima molto più immediata è sicuramente il numero quaranta: il conteggio dei giorni dell’intero periodo; la seconda è il cammino che questo tempo liturgico forte rappresenta. Soffermiamoci brevemente sul numero, quaranta. Le norme liturgiche relative alla numerazione di questo tempo rimandano alle tappe importanti del Popolo di Dio nell’Antico Testamento: esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Nell’Antico Testamento sono quaranta i giorni del diluvio universale, quaranta i giorni passati da Mosè sul monte Sinai, quaranta gli anni in cui il popolo di Israele peregrina nel deserto prima di giungere alla Terra Promessa, quaranta i giorni di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb, quaranta i giorni che Dio concede a Ninive per convertirsi dopo la predicazione di Giona. Ma non solo, anche nel Nuovo Testamento ritroviamo una corrispondenza: i quaranta giorni di Gesù nel deserto prima dell’inizio della vita pubblica di predicazione del Regno e i quaranta giorni tra Resurrezione e Ascensioni, nei quali Gesù istruisce i Suoi. Il conteggio dei giorni di Quadragesima, allora, ha un’origine antichissima, risalente al IV, dove, persa l’unità dell’originario Triduo pasquale la Quaresima risultò di 42 giorni, comprendendo il Venerdì e il Sabato Santo. Gregorio Magno, poi, trovò scorretto considerare come penitenziali anche le sei domeniche (compresa quella delle Palme). Pertanto per ottenere i 40 giorni (che senza le domeniche sarebbero diventati 36) anticipò, per il rito romano, l’inizio della Quaresima al mercoledì (che diventerà “delle Ceneri”). Attualmente la Quaresima termina con la Messa nella Cena del Signore del Giovedì Santo. Ma per ottenere il numero 40, escludendo le domeniche, bisogna, come al tempo di Gregorio Magno, conteggiare anche il Triduo pasquale. Un computo diverso lo ritroviamo nel Rito Ambrosiano che conteggia la Quadragesima partendo dal Giovedì Santo e andando a ritroso di quaranta giorni, giungendo così alla sesta domenica prima di Pasqua, ovvero la I di Quadragesima. Liturgicamente gli ambrosiani non comprendono il triduo nel computo e dunque, la Quaresima incomincia con i Primi Vespri della sesta domenica prima di Pasqua e termina con i Vespri del Giovedì Santo, lasciando fuori la celebrazione della Coena Domini.

La valenza liturgica del tempo di Quaresima

Riferendoci al Rito Romano, la Quaresima sin dal IV/V secolo si sviluppa come un tempo ambivalente: da un lato la preparazione alla Pasqua, con digiuni e preghiere: un tempo di penitenza quindi. Dall’altro la preparazione dei Catecumeni a ricevere il Battesimo nella Veglia pasquale: un tempo battesimale. Certamente osservando le liturgie odierne potremmo dire che il primo carattere, quello penitenziale, risulta predominante rispetto al secondo che, nel tempo, ha perso sempre più piede. Sarà con il Concilio Vaticano II che si sottolineerà nuovamente e più intensamente il carattere battesimale della Quadragesima raccomandando un più abbondante utilizzo dei segni battesimali all’interno delle liturgie quaresimali, utilizzando se necessario anche elementi della tradizione antica, nonché una maggiore sottolineatura nelle catechesi della valenza battesimale della Quaresima, unitamente a quella penitenziale (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 109). La liturgia offre una ricchezza di testi eucologici, cioè colletta, orazione sui doni, prefazio e orazione post communio; unitamente ad una ampia scelta di testi biblici diversi ma complementari nel percorso quaresimale, con particolare accento sulle sei domeniche (cinque di quaresima più la Domenica delle Palme).
Nel Rito Ambrosiano, invece, che non ha mai conosciuto tradizionalmente il mercoledì delle ceneri, la Quaresima non ha mai perso il carattere prettamente battesimale. In effetti le quattro domeniche centrali della Quaresima ambrosiana (dalla seconda alla quinta) sviluppano una raffinata catechesi battesimale attraverso i Vangeli proposti (tutti tratti dal testo di Giovanni), dai quali le domeniche stesse prendono nome: e così nella domenica della Samaritana (seconda di Quaresima) troviamo il tema dell’acqua viva e della rinascita interiore; nella domenica di Abramo (terza) il tema della nuova identità del cristiano come vero figlio di Abramo, o meglio vero figlio di Dio; nella domenica del cieco nato (quarta) il tema del battesimo come illuminazione e vittoria sulla cecità del peccato; nella domenica di Lazzaro (quinta) il tema della vittoria sulla morte e del battesimo come inizio della vita eterna. Un discorso analogo si può fare per i giorni feriali. Innanzitutto si può notare che in essi è stata conservata una particolare “struttura ternaria” nella liturgia della Parola, che non trova riscontro in alcun altro rito liturgico occidentale: il Vangelo infatti è preceduto da due letture entrambe tratte dall’Antico Testamento. Per le prime quattro settimane tali letture si inseriscono anch’esse all’interno di una precisa catechesi battesimale. Infatti viene proposta la lettura continua (giorno dopo giorno) dell’intero “discorso della montagna” tratto dal Vangelo secondo Matteo, commentato dalle prime due letture con pericopi tratte rispettivamente dal libro della Genesi e da quello dei Proverbi. Sappiamo che questo era un uso già in vigore a Milano nel secolo IV, all’epoca di S. Ambrogio e aveva una precisa finalità catechetica: aiutare il pagano che si era convertito e chiedeva il battesimo a confrontarsi, anche dal punto di vista morale, con le esigenze di una vera vita cristiana quale il Vangelo propone. La quinta settimana di Quaresima invece introduce al tema della Passione: la prima lettura dei giorni feriali, tratta sempre dai libri storici dell’Antico Testamento, presenta varie figure di “giusto sofferente”, come prefigurazione profetica di Cristo, il giusto per eccellenza ingiustamente perseguitato e condannato; la seconda lettura tratta dai libri sapienziali, offre un primo tentativo di spiegazione del “dolore innocente”; infine il Vangelo passa in rassegna le profezie fatte da Cristo stesso sulla sua imminente passione. (cf. I. Biffi, La liturgia ambrosiana. La riforma del rito e il nuovo messale, Milano 2013; M. Navoni, L’anno liturgico ambrosiano, Milano 2017).

Alcuni segni e norme liturgiche importanti

In fine, ricordiamo qualche segno liturgico importante dell’uno e dell’altro Rito.
Tra le caratteristiche esterne del rito liturgico quaresimale certamente notiamo un aspetto, comune ai romani quanto agli ambrosiani: l’assenza del Gloria nelle celebrazioni eucaristiche, dell’Alleluia dalle celebrazioni eucaristiche e della Liturgia delle Ore e — elemento meno noto, ma presente e significativo — la soppressione del canto del Te Deum dopo la seconda lettura dell’Ufficio o dopo il cantico e la proclamazione del Vangelo. Ora la liturgia celebra il Signore Risorto in ogni tempo dell’anno: la comunità dei credenti volge la sua attenzione al Risorto anche il Venerdì santo, quando all’inizio dell’adorazione della Croce canta: «Adoriamo la tua Croce Signore, lodiamo e glorifichiamo la tua santa Risurrezione…». Eppure in Quaresima, tempo tremendo e gioioso dell’attesa del Signore glorioso la Chiesa latina la domenica, che da sempre è giorno in cui non si digiuna perché celebra in modo tipico la Risurrezione, non canta l’inno di lode all’Agnello Risorto (Gloria) che vive perennemente immolato. Il motivo è lo stesso per cui l’Alleluia (lodate il Signore) viene soppresso fino alla notte della Risurrezione. La risposta di per sé è semplice, perché la Quaresima è un tempo penitenziale che in qualche modo “penalizza” il significato della domenica.
Una peculiarità degna di nota e propria esclusivamente del Rito Ambrosiano è quella del venerdì anaeucaristico (da molti erroneamente chiamato “aliturgico”). Ricercare l’origine storica di questa tradizione non è facile. Per alcuni studiosi, in questo la liturgia ambrosiana si avvicinerebbe alle chiese orientali, nelle quali in Quaresima tutti i giorni della settimana, eccetto il sabato e la domenica sono anaeucaristici. Secondo altri, e tra questi il più eminente è il Beato card. Schuster, l’origine sarebbe molto antica e risalirebbe ai tempi in cui la liturgia eucaristica, sempre in Quaresima, era celebrata al calar del sole: poiché di venerdì la preghiera vespertina si prolungava con una veglia composta di salmi, letture ed orazioni che, di fatto, terminavano con una celebrazione eucaristica quando ormai spuntava l’aurora del sabato, il venerdì restava privo della celebrazione della Messa. A questa disciplina, che la Chiesa ambrosiana conserva fin dai tempi antichi, soggiace un profondo significato spirituale. I venerdì della Quaresima ambrosiana, infatti, richiamano più che mai alla meditazione del cristiano il mistero della morte di Cristo in croce, il dramma della Chiesa-Sposa che si ritrova desolatamente privata del suo sposo e Signore. E così l’assenza della celebrazione eucaristica, da un lato provoca un senso di vuoto e di mestizia, e dall’altro costringe a riflettere sull’essenziale; fa sperimentare, in un certo senso, che cosa significhi essere privati della presenza di Cristo strappato dalla morte alla sua Chiesa; aiuta, quasi pedagogicamente attraverso una specie di “digiuno” dall’eucaristia, a comprendere più profondamente il valore di questo sacramento alla luce del sacrificio di Cristo in croce.
Prof. Cristian Lanni

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