La riforma liturgica del Concilio Vaticano II è un articolo del prof. Lanni sul Concilio Ecumenico Vaticano II e la sua liturgia. Altri articoli sul tema liturgico sono contenuti nella rubrica ABC Liturgico.
Ricorre quest’anno il sessantesimo anniversario della celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, la cui Costituzione più controversa e ancora oggi discussa è indubbiamente la Sacrosanctum Concilium. Quest’ultima ha portato grandi cambiamenti all’interno della liturgia, ma nell’ottica non di uno stravolgimento, piuttosto di un rinnovamento della celebrazione, avendo come fulcro l’adorazione del misterioso incontro che si perpetua nella celebrazione liturgica. Molte sono, però, le distorsioni ed “innovazioni” apportate dalla volontà umana che si pensa padrona del Rito, assolutamente distanti dal mandato conciliare.
Questioni preliminari ed introduttive
La Storia della Chiesa che per molti potrebbe sembrare un “qualcosa di immobile”, è stata – invece – in continua evoluzione. Certamente – e sembra più che ovvio – i principi sono gli stessi della Chiesa di Pietro, pilastri su cui si regge la Tradizione che perdura da secoli, immutata e sempre presente in ogni atto del successore del Primo Apostolo. I “principi dogmatici” – così vengono chiamati – sono ancora oggi gli stessi di millenni fa. Eppure nella sua storia, la Chiesa, ha vissuto un periodo di profonda trasformazione, nei suoi riti, nel suo modo di “porsi davanti al Mondo”: è il Concilio Vaticano II, tanto desiderato da Giovanni XXIII e portato a termine da Paolo VI. Era il 1959. I lavori terminarono l’8 dicembre 1965. Fra le tante “innovazioni” di questo importante Concilio, fu determinante quella della riforma della Liturgia della Santa Messa. Questa riforma è la più visibile, la più tangibile di tutte le nuove disposizioni che il Vaticano II adottò nella vita ecclesiale. La riforma liturgica fu dettata dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, promulgata dal Pontefice Paolo VI il 4 dicembre del 1963. Vale la pena sottolineare il grande favore che la Costituzione ebbe nel consesso conciliare, ricevendo 2147 voti a favore e solo 4 contrari. E’ tuttavia un dato di fatto che, il tempo intercorso tra la promulgazione della Costituzione liturgica, i continui esperimenti celebrativi e la sua esecuzione, che bisogna rilevare esser stata piuttosto affrettata, in mezzo a contrastanti interpretazioni del concilio, lasciarono e lasciano spazio ad abusi, teoremi e resistenze. Tali atteggiamenti furono condannati dai Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, che cercarono di rimediarvi con istruzioni e indulti. Nonostante ciò, si è giunti all’inosservanza della liturgia, intesa come insieme di Ordines o riti. Per rito intendiamo la forma del pregare e del credere che è maturata nella fede e nella tradizione della Chiesa: è la forma di condensazione della fede vivente [1]. Esiste però un elemento immutabile, che è lo ius divinum (cattolico) che viene preservato dai diversi Ordines. Il punto, forse più controverso che fonda la maggior parte dei fraintendimenti in ambito liturgico è certamente pensare che la liturgia sia un fatto di esclusiva competenza umana, fatto questo che non permette di accostarsi ad essa con il dovuto atteggiamento, magistralmente espresso da San Tommaso in quel «quantum podest tantum aude» da applicare al massimo grado [2]. O per spiegarlo nei termini di Romano Guardini, in seguito ripreso anche dall’allora Cardinal Ratzinger, «la liturgia è un emozione, ma un emozione sotto strettissimo controllo» [3]. È in quello strettissimo controllo che sta l’elemento che sfugge all’umano: quello ius divinum che va preservato e a cui bisogna accostarsi sempre con l’atteggiamento dettato dal Dottore Angelico.
La distorsione delle intenzioni dei Padri conciliari
Dall’incarnazione in avanti non è data forma se non accompagnata anche dalla sostanza, così come non può esistere una verità scissa dalla forma che la richiami. Allora, proprio in merito alla riforma liturgica ci possiamo domandare se “ri-forma” può voler significare una miglioria o uno stravolgimento della forma che esprime l’unica verità. L’interrogativo da porsi, la cui risposta forse potrebbe essere risolutiva dell’oramai dannosa diatriba sulla liturgia, è proprio questo: molti sono stati i cambiamenti. Ma questi sono stati attuati secondo le intenzioni dei Padri conciliari o le loro stesse intenzioni sono state male interpretate? La risposta più pertinente potrebbe essere un ritorno all’interiorità, come la forma più nobile del Movimento liturgico intendeva [4]. La riforma liturgica, nella sua concreta esecuzione, si è sempre più allontanata da questa origine, dall’intenzione dei Padri conciliari, ma ancor prima di Giovanni XXIII. Il risultato non è rianimazione ma, troppo spesso, una devastazione. Da un lato c’è una liturgia degenerata in spettacolo, una liturgia in cui l’uomo si pensa padrone, che registra successi momentanei nel gruppo dei promotori e un allontanamento ben più vasto da parte di tutti coloro che nella liturgia non cercano uno show, m l’incontro con il Dio vivente davanti al quale il nostro affaccendarsi diventa irrilevante, e che può dischiudere a tutti la vera ricchezza dell’essere. Dall’altro lato, si propone l’estrema conservazione delle forme rituali cosiddette antiche, la cui grandezza commuove sempre di nuovo, ma che alla fine, dove è espressione di una caparbia segregazione, lascia dietro di sé soltanto tristezza. L’allontanamento dal ritorno all’interiorità ha allontanato anche e soprattutto dall’adorazione, primato fondamentale da cui partire per comprendere a pieno la riforma. A tale allontanamento si affianca un moto di secolarizzazione della liturgia stessa a motivo di “innovazioni” e varianti al Rito non previste dal Concilio e non previste dalla costituzione Missale Romanum di Paolo VI. Forse nell’applicazione dell’intenzione (e successivamente del mandato) conciliare si è verificato che l’equilibrio del testo della Costituzione abbia subito uno spostamento unilaterale verso una certa direzione che ha travisato il Concilio stesso. A motivo di ciò i convinti del fatto che taluni elementi andrebbero rivisti, all’interno della riforma, non è “contro il Concilio”, ma piuttosto contro la distorta applicazione dello stesso. D’altro canto se è vero quanto detto prima, ovvero che ogni verità è recata e rappresentata da una forma, allora distogliere la religione significherà distogliere la verità dell’incontro con Dio stesso. Lo ricorda Papa Francesco nella sua Desiderio Desideravi: la Liturgia garantisce di essere il luogo dell’incontro autentico con Dio. Il memoriale dell’ultima Cena non è un ricordo del passato, ma risponde al bisogno concreto di presenza dell’uomo a quella Cena. E sintetizza magistralmente quanto fin ora detto al n. 16 della Costituzione Desiderio Desideravi, quando afferma «Vorrei che la bellezza del celebrare cristiano e delle sue necessarie conseguenze nella vita della Chiesa, non venisse deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia». È la strumentalizzazione della liturgia al servizio di una qualunque ideologia l’elemento che distoglie dal punto centrale che è l’adorazione. A motivo dell’essere della liturgia il luogo prediletto e privilegiato dell’incontro reale tra Dio e l’uomo, richiede che tutti i suoi aspetti vadano massimamente curati, per rendere piena e fruttuosa la partecipazione all’incontro.
Note
[1] Cfr. J. Ratzinger,Opera omnia,Teologia della liturgia,11,VIII. Lo sviluppo organico della liturgia, Città del Vaticano 2010, 790-791.
[2] Cfr E. Duffy, Benedict XVI and the Liturgy, The Genius of the Roman Rite, Chicago/Mundelein,Illinois 2010, 1.
[3] R.GUARDINI, The Spirit of the Liturgy, London 1935, 121.
[4] cfr. J. Ratzinger, Opera omnia,Teologia della liturgia,11, III. In memoria di Klaus Gamber, 724.
prof. Cristian Lanni