L’aggregazione al Monastero e le relazioni dei monaci con l’esterno è un articolo a cura di Fra Matteo Pietro Igneo sulla Regola di San Benedetto. Altri articoli sulla Regola sono presenti nella nostra rubrica Dentro le Regole.

In questo articolo affronteremo una serie di capitoli dove tratteremo l’ingresso in monastero e i rapporti dei monaci con il mondo circostante. Il monastero benedettino nei suoi esordi era visto come un luogo chiuso, separato dal mondo, formato da “santi”, da “fratelli spirituali” che per giuste ragioni non si debbono mescolare ai fratelli secolari. I monaci perciò vivevano tutta la loro vita isolati e circondati dalle mura del monastero, ai margini della vita del mondo (oggi ciò è impossibile da fare perché occorre stare al passo del mondo per essere bravi evangelizzatori). Sia nella regola del Maestro che in quella di Benedetto alcune relazioni con l’esterno sono presenti: accogliere i poveri e i pellegrini, da cui l’importanza dell’ufficio del portinaio (RB 66); ricevere gli ospiti (RB 53 e 56); uscire per breve tempo per qualche commissione (RB 51) o anche per i viaggi più lunghi (RB 67).

In tutti questi capitoli sopra elencati emerge una visione del monastero come realtà autosufficiente, in modo da ridurre al minimo le uscite ed evitare pericoli del mondo. “Chiusi dentro con il Signore, i fratelli stanno in qualche modo in cielo, separati dal mondo per Dio” (Regola del Maestro 95,23).

Le motivazioni di questa scelta

Il pericolo di fondo era l’infiltrazione nel monastero di una mentalità mondana. Pertanto i padri del cenobitismo misero alla prova duramente quelli che volevano entrare in monastero, chiamati nel lessico odierno postulanti. Essi volevano saggiare lo spirito e la consistenza di essi, a volte anche rinnegando loro ripetutamente l’ingresso e, una volta ammessi, obbligandoli a restare in una sorta di quarantena un periodo più o meno lungo affinché riflettessero sulla serietà della propria vocazione e si abituassero al nuovo genere di vita. 

Il padre del deserto Cassiano descrive l’ammissione dei postulanti nei monasteri d’Egitto nel modo seguente: ‘prima si facevano aspettare almeno dieci giorni alle porte del cenobio, provandone la pazienza con ogni sorta di ingiurie; poi si facevano entrare e venivano spogliati di tutto il denaro e dei loro vestiti, sostituendovi quelli del monastero; però con tale “vestizione” non erano ancora incorporati alla comunità, ma venivano affidati all’anziano che sovrintendeva alla foresteria, e per un anno intero aiutavano a servire gli ospiti, esercitandosi nell’umiltà e nella pazienza; infine passavano a far parte del monastero e ricercavano una formazione specifica.’ Questa descrizione la troviamo nelle Istruzioni di Cassiano al Capitolo 4, da 3-7.

Cosa fa San Benedetto per i suoi monaci?

Semplicemente adotta più o meno questo schema ma con altre modifiche, sue originali o copiate da altri. Nella regola si schematizza tale argomento in vari capitoli: prima si tratta dell’ammissione comune e ordinaria dei fratelli (RB 58), poi di alcuni casi speciali, ad esempio d’ingresso come oblazione dei fanciulli (RB 59) o l’ammissione dei sacerdoti e dei chierici (RB 60), dei monaci di altri monasteri (RB 61) e infine si affronta il tema dei sacerdoti del monastero (RB 61).  Naturalmente, per quanto concerne la comunità, i fanciulli avevano più tempo e maggiori possibilità di essere curati e istruiti; difatti quando aumentavano i monaci elevati agli ordini sacri, questi erano presi dagli oblati per la loro preparazione. 

Con il passare del tempo, il termine converso, con cui veniva designato il monaco entrato da adulto, cominciò a significare anche monaco illetterato. Sia San Romualdo sia San Giovanni Gualberto, nel XI secolo, li accolsero assegnando loro lavori manuali e preghiere semplici; essi facevano la professione ma non passavano mai nella categoria dei monaci sacerdoti e facevano vita a parte: avevano refettorio e dormitorio separati, non partecipavano ai capitoli, portavano la barba e un abito speciale. Così ebbero origine i “fratelli conversi”, nel senso che tal termine ha avuto fino a pochi anni fa; si svilupparono in un primo soprattutto nei cluniacensi e cistercensi e poi dappertutto, anche nelle comunità femminili.

La costituzione della comunità oggi

Oggi si è tornati alla costituzione delle comunità con una unica categoria di monaci, sacerdoti e non, con uguali diritti e doveri, salvo quelli connessi col carattere sacerdotale indicati nel documento Perfectae Caritatis al n° 15 del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Fra Matteo Pietro

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