Le origini della Festa di Pentecoste. La rivelazione della silenziosa potenza dello Spirito Santo è una riflessione del professor Cristian Lanni su una delle feste più importanti dell’anno liturgico. Altri articoli sulla liturgia, sono presenti nella rubrica: ABC Liturgico.

La celebrazione della Pentecoste, appena trascorsa, ha segnato la conclusione del Tempo Pasquale, i cinquanta giorni che dalla Resurrezione ci hanno accompagnato lungo un periodo tutto caratterizzato dalla gioia della Pasqua. La festa dello Spirito Santo, apparentemente sconnessa dal mondo ebraico e tutta peculiarmente cristiana, in realtà ha radici ancorate alla realtà giudaica.

La festa della mietitura, alle origini della Pentecoste.

A Pentecoste si ricorda e si celebra la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli riuniti insieme nel Cenacolo. La Chiesa, in questa solennità, vede il suo vero atto di nascita, d’inizio missionario, considerandola insieme alla Pasqua, la festa più solenne di tutto il calendario cristiano. In vero, tuttavia, era la festa ebraica che segnava l’inizio della mietitura e si celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica. שבועות, Shavuʿoth, o letteralmente “settimane” è la festività ebraica che cade nel quindici del mese di Sivan, ossia tra il quindici maggio e il quattordici giugno, appartenente alla triade delle feste ebraiche di pellegrinaggio. שלוש רגלים [1] sono quelle festività di tradizione rabbinica in cui era previsto, secondo le prescrizioni della Torah, un pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. A tale festività, gli ebrei di lingua greca, diedero il nome di πεντηκόστη, visto il tempo di cinquanta giorni che la separava dalla Pasqua (ebraica). Il nome “festa della mietitura”, ovvero חג הקציר, deriva dal Libro dell’Esodo [2] e prescrive una festa di lode a יהוה [3] per le primizie dei campi. Era la festa nella quale la prescrizione biblica prevedeva l’offerta dei frutti della terra al tempio, secondo le “Sette Specie” tipiche della Terra promessa: frumento, orzo, uva, fichi, melagrane, olive e datteri [4]. Nella società preponderantemente agraria dell’antico Israele, i contadini ebrei nei loro campi legavano dei vimini intorno ai primi frutti maturi di ciascuna delle succitate specie. Al tempo del raccolto, i frutti identificati dai vimini venivano tagliati e messi in cesti imbastiti d’oro e d’argento. I cesti erano poi caricati su buoi le cui corna erano dorate ed intrecciate con ghirlande di fiori, ed erano portati in processione solenne a Gerusalemme. Quando il fattore ed il suo corteo passavano attraverso le città ed i paesi, erano accompagnati da musica e parate, secondo una cerimonia prescritta, dunque [5]. Lo scopo originario di questa ricorrenza era, dunque, il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, cui si aggiunse più tardi, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico, cioè la promulgazione della Legge mosaica sul Monte Sinai. Secondo il rituale ebraico, la festa comportava il pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra e particolari sacrifici.

I fondamenti biblici della discesa dello Spirito Santo.

Solo tra il 155 e il 220 d.C. si incomincia a parlare dello scadere delle sette settimane che separavano la Pasqua dalla festa della mietitura ebraica come una ricorrenza legata allo Spirito Santo, secondo le testimonianze di Tertulliano. Al capitolo 2 degli Atti degli Apostoli. Gli Apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme nel Cenacolo, probabilmente della casa della vedova Maria, madre del giovane Marco, il futuro evangelista, dove presero poi a radunarsi abitualmente quando erano in città; e come da tradizione, erano affluiti a Gerusalemme gli ebrei in gran numero, per festeggiare la Pentecoste con il prescritto pellegrinaggio. Questo spiega il perché della presenza di giudei provenienti da ogni dove. «Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste», si legge, «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme giudei osservanti, di ogni Nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua. Erano stupefatti e, fuori di sé per lo stupore, dicevano: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?». Ecco che, il più grande dono fatto da Dio al popolo, ricordato dalla tradizione ebraica come il dono della Legge, con la Resurrezione diviene il dono dello Spirito dalla cui effusione nasce la missionari età della Chiesa. La lingua universale prima espressa dalla Legge, è ora, in Cristo espressa dall’Amore.

Lo Spirito Santo nella Liturgia della Chiesa.

Terza persona della Santissima Trinità, è in vero il grande presente nella Chiesa, ma al contempo il meno conosciuto delle tre Persone divine. Nella Liturgia lo Spirito Santo è il pedagogo della fede del popolo di Dio, l’artefice di quei «capolavori di Dio» che sono i sacramenti del Nuovo Testamento. Il desiderio e l’opera dello Spirito nel cuore della Chiesa è che noi viviamo della vita di Cristo risorto. Quando egli incontra in noi la risposta di fede da lui suscitata, si realizza una vera cooperazione. Grazie ad essa, la Liturgia diventa opera comune dello Spirito Santo e della Chiesa [6]. Lo Spirito Santo è abbondantemente presente nell’Antico Testamento, pur in forma nascosta, ma trova «la pienezza del tempo» [7] nell’incarnazione del Figlio e, grazie al volere del Padre, rimane nella Chiesa. Questa, infatti, fin dal suo nascere ha sempre celebrato il memoriale del Mistero di Passione, Morte e Risurrezione di Cristo e impetrato il dono dello Spirito promesso. Ancora oggi la Chiesa nelle celebrazioni liturgiche, per mezzo di segni sensibili, vive e realizza la sua santificazione. Questi segni e gesti prendono significato da quelli già in uso dalla Sacra Scrittura. Infatti, per l’Antico Testamento lo Spirito è qualcosa che è in movimento e spinge a sua volta al movimento; quindi non è qualcosa di statico, ma evidenzia la forza misteriosa che opera in esso e di cui il Signore si serve, per portare avanti la sua tempestosa storia di salvezza. La Scrittura esprime la presenza dello Spirito attraverso gesti come: l’imposizione delle mani [8], l’ascolto della Parola [9], l’unzione [10]; la prostrazione, la “insufflatio” [11], e attraverso i segni, quali: l’acqua [12], il fuoco[13], la lampada [14], la lingua[15], il vento[16], il canto[17], e altri. Noi cercheremo di entrare nel significato più profondo che questi gesti e segni esprimono e allo stesso tempo producono nella vita del credente, poiché sappiamo che ogni azione liturgica è azione di Dio a favore del suo popolo e al contempo azione del popolo a lode e gloria di Dio. vediamo brevemente i gesti che segnano la presenza dello Spirito nella Liturgia.

L’imposizione delle mani o elevazione delle mani raffigura la mano di Dio (destra) e il dito di Dio [18]. È il segno visibile della trasmissione della grazia, infatti, l’atto di imporre le mani è un gesto autorevole che richiama il movimento che dall’alto raggiunge l’uomo, quindi per le mani del ministro, discende la vita divina e si realizza la comunione tra cielo e terra, tra Dio e colui che riceve. Nella liturgia è il gesto della consacrazione che dona lo Spirito Santo. Questo momento particolare nella celebrazione eucaristica si chiama “epiclesí”, quando il sacerdote stende le mani sul pane e sul vino e invoca lo Spirito perché siano consacrati in Corpo e Sangue di Cristo. L’imposizione delle mani, e quindi un gesto molto significativo e importante perché segna la presenza e l’assistenza divina dello Spirito vivo e vivificante, e proprio per questo è presente in tutti i sacramenti.

L’ascolto della Parolaè simboleggiato dall’orecchio, che allude alla disponibilità spirituale; infatti, questi è l’organo che permette l’ascolto e l’obbedienza a quanto viene udito. L’«orecchio geloso ascolta ogni cosa e perfino il sussurro della mormorazione non gli resta in segreto»[19]. Gesù spesso diceva: «Chi ha orecchi per intendere, intenda» [20].

L’unzione per chi la riceve è benedizione, consacrazione, elezione per l’opera di Dio. L’unzione è importante, perche l’olio in sé è il segno del Messia, dall’ebraico Mashiach, che significa unto e comporta il massimo ruolo nell’opera salvifica.

La prostrazione e genuflessione sono gesti usati nell’antichità e ancora oggi nelle ordinazioni, consacrazione delle vergini, nel venerdì santo e così via. Corrispondono alla bizantina proskunesis. Questo gesto è particolarmente avvalorato dall’evangelista Giovanni (4,20-24) il quale afferma che la vera proskunesis (prostrazione-adorazione) al Padre è in Spirito e Verità

Lo spirare: la insufflatio fondata anch’essa su molti brani biblici: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» [21]; «Gesù alito su di loro e disse: “ricevete lo Spirito Santo”» [22]. È tipica del rito bizantino, ma anche il rito romano prevede lo spirare nel gesto del lieve inchino che il sacerdote fa verso il pane e il vino, quando pronuncia la formula di consacrazione.

In fine, il più grande gesto che segna la presenza dello Spirito Santo è Il silenzio. Questo, nella liturgia ha un significato molto importante perché non è assenza o vuoto o povertà di gesti, ma paradossalmente può divenire pienezza dello Spirito. Infatti, il silenzio aiuta a entrare nel cuore del Mistero che si sta celebrando; è segno della disposizione all’accoglienza dello Spirito e alla sua azione. Lo Spirito parla nel silenzio e solo nel silenzio si può udire la sua voce, «voce di sottile silenzio»[23]. I momenti di silenzio sono momenti di grande importanza, perché permettono l’accoglienza della Parola, essi favoriscono la riflessione e la contemplazione. La presenza dello Spirito nella Liturgia è soprattutto nascosta e operante, perciò è necessario il silenzio così da poterla scorgere e accogliere per non passare invano. Penso che un piccolo esercizio che può aiutare a prendere coscienza di ciò sia quello di fare attenzione a quante volte, nella celebrazione eucaristica, si nomina lo Spirito, a partire, ad esempio, dal semplice segno di Croce.

[1] Shalosh Regalim.

[2] cfr. Es. 23, 16. «Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi».

[3] Adonai.

[4] cfr. Dt. 8,8.

[5] cfr. Dt. 25, 1-10.

[6] cfr. CCC 1091.

[7] Gal. 4,4.

[8] cfr. At. 2,10.

[9] Gv. 16,13-15.

[10] cfr.2 Cor 1,21s; 1 Gv 2,27.

[11] cfr. Gv. 3,8.

[12] cfr. Gv 3, 5; Lc 3,21; Gv 7,37; Ap 22,1.

[13] cfr. Mt 3, 11; At 2,3.

[14] cfr. Ap. 4,5.

[15] cfr. At 2,3.

[16] cfr. Gv 3,7; Gv 20,22; At 2,2.

[17] cfr. Col 3,16.

[18] cfr. Lc 11,20.

[19] Sap 1,10.

[20] Mc 4,9-23.

[21] Gv 3,8.

[22] Gv 20,22.

[23] 1 Re 19,12.

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