Separazione e ricongiungimento nella poesia di Cristina Campo

Moriremo lontani

Dedicheremo ancora due brevi articoli alla figura di Cristina Campo che, nel corso di questi mesi, abbiamo imparato a conoscere attraverso le sue parole (clicca qui per rileggere l’ultimo articolo). Oggi vogliamo leggere Moriremo lontani, contenuta nella silloge Passo d’Addio.

Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco
sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate dai sassi…

O signore e fratello! Ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:

«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta».

Genesi

Moriremo lontani, come scrive la Campo in una delle lettere a Margherita Dalmati, è la prima poesia dell’autrice: «se ti capita di trovarti nei Musei Vaticani, vedrai nella sala egizia una custodia di vetro con dentro i corpi di due bellissimi giovani. E sopra quella coppia millenaria, che è l’immagine stessa dell’amore, c’è un cartello: “Non erano uniti da alcun vincolo familiare”». Un anno dopo scrive ancora all’amica: «Ho chiamato mio padre e siamo andati ai Musei Vaticani. Tu sai, non è vero, a chi volevo far visita! Ma ci crederai: li hanno separati! Nella sala tranquilla che curva intorno al cortile, ora le teche sono due! A vederle il mio cuore si è diviso con loro…nel Moriremo almeno, sono uniti per sempre».

Separazione e amore

Per mezzo della visione dei due corpi antichi, l’amore è contemplato dall’autrice nella sua più profonda essenza: unione di enti abitati dalla separazione. Tutto ciò che di questa unione si può sperimentare sulla terra è sempre vissuto dall’incertezza del distacco e dal timore che lo spazio e il tempo non riescano a trattenere la gioia dell’incontro. Anche la carne parla di scissione e di una volontà profonda e inesauribile di non contemplare nel volto dell’altro la traccia di un’altra migrazione.

L’anima

In fondo, l’anima è il segno di quanto la natura invisibile di ogni movimento umano sia inconoscibile. In fondo, per quanto possiamo pronunciare amore, unione, separazione, tutto ci rimane ignoto e il mistero profondo della vita conoscibile solo nel tempo di un’attesa fedele. In fondo, tutto ha bisogno di poggiare le sue fondamenta su una fede invisibile: neppure sarei capace di mettere il piede sul sentiero del cammino se non avessi fede che la breccia rimarrà a sostenere il mio peso. 

La terra dei vivi

Per fede, allora, sappiamo che solo un’unione per sempre è ciò che può rendere la necropoli deserta e che accettare il moriremo lontani è l’unica strada alla salvezza, perché convivere con il limite ci permette di sentire il divino abitare nel cuore di ciascuno. Allora potrai chiamarLo Signore e fratello e potrai dirGli che un vincolo vi univa e vi unisce nella terra, abitata, dei vivi.

Elisabetta Corsi

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