L’ora di Dio nell’altrove dell’uomo

Cesare Pavese

Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay

Con questa riflessione, percorriamo una nuova tappa nella poesia del Novecento alla ricerca del Mistero di Dio (qui per il precedente articolo). Il poeta che oggi con i suoi versi ci fa immergere nella concretezza palpitante della vita è Cesare Pavese (per informazioni sulla vita e sulla poetica). Di lui analizziamo in ottica cristiana la poesia Notturno contenuta in Le poesie aggiunte di Lavorare stanca. Leggiamone i primissimi versi:

La collina è notturna, nel cielo chiaro. 
Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena 
e accompagna quel cielo. Sei come una nube 
intravista fra i rami. Ti ride negli occhi 
la stranezza di un cielo che non è il tuo. 

Nei primi cinque versi si legge subito una tensione particolare fra gli elementi del paesaggio, tensione che si frammenta in più dimensioni: il cielo chiaro della notte si scontra con la notte del profilo collinare, la nebbia delle nuvole si interseca con i neri lineamenti dei rami, il sentimento poetico dell’io lirico tende a carezzare il capo del tu che si muove appena e accompagna il cielo. Il lottare e l’intrecciarsi della dimensione del buio e della luce nell’atmosfera notturna ricorda molto quella continua lotta interiore che fa capire ad ogni uomo di essere vivo.

Alla vita del giorno

Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay

Si può sentire l’io lirico dire: “A cosa pensi ogni mattina quando ti alzi? Apri gli occhi e subito capisci che la luce ha vinto le tenebre in un solo battito di palpebra. Comprendi che le lunghe ore della notte hanno lasciato il posto alla vita del giorno. Se sei ancora su questa terra non vivere inutilmente, presta fede al sentimento dell’estraniamento che il tuo concepirti creatura produce: lasciati amare da questo Cielo e saprai che ogni attimo della tua vita non sarà perduto”. 

Per piacermi

La collina di terra e di foglie chiude 
con la massa nera il tuo vivo guardare, 
la tua bocca ha la piega di un dolce incavo 
tra le coste lontane. Sembri giocare 
alla grande collina e al chiarore del cielo: 
per piacermi ripeti lo sfondo antico 
e lo rendi più puro. 
Ma vivi altrove. 
Il tuo tenero sangue si è fatto altrove. 
Le parole che dici non hanno riscontro 
con la scabra tristezza di questo cielo. 
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca 
impigliata una notte fra i rami antichi.

Nella continua lotta della vita con la morte, del senso di vuoto con l’esperienza della pienezza, si profila per l’uomo una certezza: quella del Mistero. Perché tutto è mistero che si fa carne, tutto è bellezza resa sacra dalla discesa di Dio. L’altrove del cielo, in questo modo, rende perfetto ogni nostro notturno spazio interiore. Ma allora, da cosa dipende questo movimento? Da cosa la lotta continua che sentiamo dentro? “Per piacermi ripeti lo sfondo antico/ e lo rendi più puro”: Dio tesse la veste lacerata dell’uomo vecchio e crea l’uomo nuovo, forgiato dell’amore per amore.


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