Dalla forza dirompente dell’Amore che vince la morte e lascia prefigurare una realtà ben superiore che avvolge corpo ed anima, esclusivizzante, ci immergiamo in un’aura quasi sorprendente di assoluta libertà dalla pur giustificata gelosia amorosa, nella quale la gioia si moltiplica e si comunica. Il Cantico ˗ si nota sin dal primo atto ˗ non presenta un rapporto esclusivamente a due, un dialogo di amante amato che esclude ogni altra presenza; un ruolo fondamentale è certamente quello del coro, quasi la ridondanza dell’amore. Ma procediamo per gradi.


Il cantico inizia con la voce di lei che senza preambolo alcuno apro la rappresentazione scenica del dolcissimo rapporto d’amore, contrastato. La prima parola del Cantico è il desiderio: quella lacuna dell’animo umano che ci fa comprendere che non siamo in grado di essere sufficienti a noi stessi. Il desiderio è ˗ qui ˗ il sentimento di ricerca dell’estasi e dell’ebbrezza più dolce dell’amore. Nell’originale spicca l’assonanza di sibilanti:
yishshaqéni minneshiqót píhu“, quasi un sussurrare il desiderio della bocca dell’amato «Mi baci con i baci della sua bocca», non già due bocche che si incontrano, ma due bocche che si cercano. L’amata parla dell’amato in terza persona, dunque il lettore è portato a dire che lui non sia presente, subito dopo però, lei, ne parla in prima persona: l’ambiguità dei personaggi è la cifra significante del Cantico. Non c’è copione, ne canovaccio, non c’è una sicura ambientazione; ogni volta il lettore deve comprendere dove e chi. Una sola certezza: l’amore.

In questi versi iniziali comprendiamo che sia la voce di lei a dire il desiderio dell’amato perché nell’originale ebraico il verbo è al maschile, ma lui dov’è? L’amata ne sente il profumo, ma questo non da certezza della sua presenza, perché l’inebriante essenza dell’amore ammanta l’ambiente che circonda i due.
Questa prima scena potremmo immaginarla nel modo che segue: lui non c’è, lei è in compagnia del Coro delle Figlie di Gerusalemme, nel mezzo. Il suo innamorato, il suo «re» è oggetto dei suoi pensieri; lei ricorda i momenti di intimità, quando fu condotta «nelle sue stanze». Ancora una volta l’ebraico esprime meravigliosamente il legame intrinseco tra l’animo amante di lei e l’animo amato di lui: l’amato è il suo dodí e il suo comportamento amoroso è il dodéka.

Tutti i sensi sono coinvolti la bocca che bacia e assapora il sapore «più buono del vino!», l’olfatto ˗ con la sua funzione essenziale nel rapporto intimo ˗ e poi gli oli profumati, caratterizzanti l’Oriente. Il poeta gioca ancora una volta in un campo semantico fortemente assonante: shem ˗ il nome ˗ e shémen, l’olio che profuma. Il profumo è la caratteristica che allarga il cerchio dell’amore: non solo lei, ma anche le altre fanciulle sono
attratte dall’inebriante profumo del suo corpo. Uno sguardo particolarmente attento merita anche l’utilizzo di particolari lemmi per esprimere l’alcova amorosa: non solo un termine che dice il talamo, ma che talora viene ad indicare anche parti del Tempio. E poi la festa, non solo gioia coinvolgente, ma anche memoria: zekár, il verbo più rilevante sul piano liturgico che rende l’idea del memoriale: il ricordo che si attua nella celebrazione: nazkíra.

“Amore e liturgia” nel Cantico

Amore e liturgia: una tematica che vorremmo sottolineare. La liturgia e l’amore, la carità, sono caratteri essenziali del vivere cristiano: la prima si muove nello spazio dei segni, del rito; il secondo si muove nell’ambito della res. Spesso capita di assolutizzare l’una o l’altra realtà, la liturgia a scapito dell’amore o l’amore a scapito della liturgia, in realtà ˗ e il Cantico lo suggerisce meravigliosamente, nell’accostamento semantico prima indicato ˗ se si separa la liturgia dal piano dell’amore vissuto, diviene fine a se stessa, autoreferenziale, e si “sacralizza”, cioè entra nello spazio arcano del “sacro” dominato dalla paura e dal fascino, non invece, come nel culto cristiano, dalla fiducia e dalla relazione. Sentimenti questi ultimi che dominano inevitabilmente, il rapporto amoroso tra amante e amato. La liturgia sacralizzata, accentua quindi la distanza Uomo Dio, tra l’amante e l’amato per eccellenza.

Ma come si coniuga allora quanto detto, ovvero il memoriale come termine comune tra amore e liturgia? Quando nella liturgia facciamo memoria, memoriale del Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, facciamo il memoriale di quell’Uomo che nella sua piena umanità ha pienamente narrato Dio nel suo “vivere”. In una liturgia scissa dalla vita e dalla carità, dall’amore, invece, le “forme” assumono una importanza esagerata, a servizio della “ieraticità” del celebrante e della “solennità” della celebrazione.

La vigna


Il secondo tema da affrontare ˗ tralasciando le più semplici descrizioni corporee e delle vicende ˗ in questo primo atto del Cantico è quello della vigna. Questa tematica è carica di risonanze Scritturistiche: la vigna del Signore è Israele, teneramente amata e coltivata, così come canta il Profeta Isaia (Is 5: 1-2). Interessante l’intreccio del tema con il Salmo 80 dunque della vigna col Pastore, proprio come nel Cantico all’interno del quale l’amato è il pastore (1,7). L’allegoria si fa più chiara: Dio è il pastore di Israele e Israele è la sua vigna.

Le vigne di Monteccasino


Ecco quindi che la tradizione rabbinica legge in questo versi del Cantico dei Cantici il rammarico di Israele, particolarmente nell’espressione «ma la mia vigna non ho custodito», che si rende conto di non aver saputo custodire la proprietà del suo Signore.
In chiosa, i versi conclusivi del primo atto «non svegliate l’amore»; una supplica ad eterizzare il momento della felicità: lei abbraccia il suo amato in una scena dolcissima, mentre lui dorme, riposa sul suo seno. L’amore, in questo verso, esprime una forza estremamente simbolica, ben profonda, che è il culmine e la chiave interpretativa del Cantico.

Per il momento ci accontenteremo di dire che l’appellativo «l’amore» rivolto all’amato significa darne una manifestazione dell’Amore, quasi a volerne significare una incarnazione rivelatoria.
Tacciano le parole: rimanga l’estatico silenzio a custodia perenne dell’Amore!

Prof. Cristian Lanni

Per chi volesse, può rileggere il nostro primo appuntamento con il Cantico.

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