Paramenti sacri e diritto liturgico: usi e abusi è un approfondimento a cura di Prof. Lanni presente all’interno della nostra rubrica ABC Liturgico.

(Museo del “Tesoro di San Benedetto” Montecassino)

Recentemente il Pontefice ha esortato alcuni Sacerdoti a riempiere le proprie messe di sostanza, tralasciando una forma, talora vanagloriosa e prediligendo una particolare attenzione al mistero celebrato e alla Parola proclamata. Tali dichiarazioni hanno agitato le acque della “riflessione liturgica” e del sentire comune in merito all’utilizzo di alcuni piuttosto che di altri paramenti, di alcuni piuttosto che di altri ornamenti. E dunque vorremmo sinteticamente cercare di far chiarezza in merito analizzando cosa sia un paramento liturgico, a cosa serva, quale simbologia porta con se e quali siano gli abusi correlati al diritto liturgico.

Cosa sono i Paramenti liturgici.

L’actuosa partecipatio di cui il Concilio Ecumenico Vaticano II fa giustamente raccomandazione non può escludere anche la conoscenza degli usi che il Sacerdote fa di talune vesti e colori a seconda del periodo dell’anno liturgico nel quale la celebrazione è svolta. Tale conoscenza non è solo sintomo di erudizione liturgica o motivo di vanto, quanto piuttosto segno di una più consapevole partecipazione alla celebrazione stessa.

Quando si parla di abiti liturgici, dunque, si fa riferimento gli abiti utilizzati dal sacerdote durante le cerimonie e, più in generale, nelle celebrazioni religiose. Si tratta di abiti che differiscono per varie caratteristiche e per colore diverso a seconda del periodo dell’anno e delle celebrazioni in corso. Si potebbe pensare che essi siano semplici segni distintivi del Ministro, in realtà non è così, il loro significato non può essere semplicisticamente ridotto ad una etichetta. Il solo gesto di indossarli possiede una grande valenza simbolica, non solo per il sacerdote ma anche per il fedele che, vedendolo abbigliato in questo modo, lo identificherà come unico rappresentante di Dio.

Ecco perchè al semplice sostantivo “paramento” si aggiunge il più significativo aggettivo “sacro” ed ecco perché è necessario che siano diversi da qualunque altro indumento che il Sacerdote può indossare al di fuori della celebrazione. Al pari delle preghiere e dei gesti che compongono la liturgia, anche i paramenti rivestono un ruolo che esprime la sacralità del mistero celebrato.

Gli abiti liturgici devono essere belli, di buona fattura. Non a caso le loro linee ricordano le vesti dei dignitari greci e romani, coloro che appartenevano alle classi più abbienti e per le quali l’abbigliamento era un modo per dimostrare la propria classe di appartenenza. Fin dal principio, le vesti dovevano esprimere la grandezza del loro ruolo, per renderlo più comprensibile e immediato agli occhi dei fedeli. Ovviamente l’abito liturgico non vuole rappresentare il ruolo sociale della persona che lo indossa: il suo significato trascende l’idea  mondana di elevazione sociale e si innesta in una più ampia considerazione della sacralità trascendente che significa l’utilizzo di quella veste per il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo di cui il Ministro è direttamente rappresentante in quel momento determinato. Un concetto complesso che la Chiesa esprime affermando che il Sacerdote agisce in persona Christi, in luogo di Cristo Signore Divino Fondatore.

In pochi sanno che alcuni abiti distintivi (per così dire) vengono usati al di fuori delle celebrazioni liturgiche. Si pensi all’abito talare e allo zucchetto, al ferraiolo, alla varietà di abiti religiosi, oppure ancora al saturno. Questa seconda tipologia non vuole significare altro che l’identificazione del soggetto che li indossa in una carica ecclesiastica o appartenenza alla gerarchia; ragione per la quale non prendono il nome di abiti o paramenti liturgici, ma molto più semplicemente di abiti ecclesiastici.

Ogni paramento ha un diverso colore a seconda del periodo dell’anno liturgico per cui è stato pensato e nel quale sarà indossato. In maniera schematica cercheremo di riproporre di seguito la colorazione e la diretta corrispondenza al periodo liturgico di appartenenza.

  • Oro: generalmente associato al bianco, dunque alla solennità, può essere usato in sostituzione di qualunque altro colore liturgico durante tutto l’anno in caso di particolari motivi di solennità.
  • Bianco: è il colore della luce, della purezza, della vita, e viene usato in occasione del tempo natalizio e di Pasqua, nelle Solennità e festività mariane e dei Santi non martiri.
  • Nero: viene usato in alcuni casi nei funerali e nelle celebrazioni per i defunti. Molto più frequentemente utilizzato nel Rito ambrosiano in luogo del morello nelle ferie quaresimali. Questa scelta trova le sue origini nella più antica tradizione liturgica comune sia alla Chiesa d’Oriente che d’Occidente. Il nero, infatti, fu da sempre ritenuto capace di esprimere una risposta all’invito alla conversione, prestando voce – nel silenzioso, ma eloquente linguaggio dei colori – all’interiore anelito di salvezza. Con tale accezione fu riconosciuto come colore penitenziale per eccellenza, al punto da diventare simbolo della stessa vita monastica, contribuendo a identificare quanti si esercitavano assiduamente nella purificazione del cuore.
  • Rosaceo: usato solo nel Rito romano in occasione della quarta domenica di Quaresima e della terza domenica di Avvento. Vorrebbe simboleggiare la commistione tra la penitenza (viola) e la gioia (bianco) del Natale o della Pasqua ormai prossimi. Nel Rito ambrosiano è utilizzato elusivamente nella festa dei Santi Martiri Innocenti.
  • Rosso: indica il sangue versato dai Martiri per difendere la propria fede e il dono dello Spirito Santo. Viene indossato il Venerdì Santo, la Domenica delle Palme, nella Pentecoste e nelle solennità o feste dei Santi Martiri. Nel Rito ambrosiano anche nel tempo dopo pentecoste e sino alla decollazione del Battista. Va a sostituire quasi del tutto il colore verde utilizzato solo nel breve tempo dopo la Dedicazione del Duomo fino alla prima domenica dell’Avvento ambrosiano e nel tempo dopo l’Epifania.
  • Verde: ricorda il rinnovamento della vita, la speranza, e simboleggia la giovinezza della Chiesa. Viene usato nel tempo ordinario.

Viola: è il colore che indica la penitenza e viene usato nel tempo dell’Avvento, in Quaresima e nella liturgia dei defunti. Nel rito ambrosiano è sostituito dal morello di cui si fa uso:

  • Nelle domeniche e nelle ferie del tempo di Avvento esclusa la solennità della Divina Maternità della Vergine Maria.
  • Nelle domeniche, nei sabati e facoltativamente nelle ferie della Quaresima, fino al sabato in Traditione Symboli escluso Nelle messe votive per il perdono dei peccati.
  • Si può usare nelle esequie, nelle messe dei defunti e nella Commemorazione dei Defunti.

Ogni altra colorazione, delle molte previste nei tempi moderni non è parte delle prescrizioni liturgiche. A tal proposito una particolare menzione va fatta circa l’utilizzo dell’azzurro. Tale colorazione deriva dalla tradizione bizantina che ne fa uso nelle feste della Teotokòs (in luogo dell’oro) e nelle feste dei Santi Arcangeli. Dopo la riforma del Concilio Ecumenico Vaticano II si è incominciato a farne uso anche nel Rito romano e particolarmente nelle aree della Spagna, del Portogallo, del Messico e dell’America latina per le festività mariane.

Il rito della vestizione dei paramenti sacri.

Le vesti sacre si configurarono in Oriente e Occidente tra il V e il XII secolo. La Chiesa comprese che per il Servizio divino non si potevano usare quelle da lavoro o militari, perché il sacerdote è un ministro che svolge la funzione di mediatore tra il divino e l’umano, continuando l’opera di Gesù Cristo.

Lo splendore dei paramenti è a gloria e onore del Signore e non del sacerdote che li riveste, lo insegnano gli Orientali. Il loro significato è così importante che ad ogni paramento corrisponde una simbologia ed una preghiera. La vestizione è un vero e proprio rito.

Di seguito le vesti per la celebrazione della Messa e la loro simbologia e preghiera.

L’amitto è un panno rettangolare o quadrato, da mettere intorno al collo e alla vita grazie ai nastri in tessuto. Di solito è prodotto in lino ed è sempre bianco, poiché viene indossato sopra l’abito talare e sotto al camiche nel Rito romano, sopra in quello ambrosiano. Rappresenta una sorta di protezione dal male e dalle tentazioni. La preghiera prevista recita infatti: Impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus. (Imponi, Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per sconfiggere gli assalti diabolici).

Il camice o l’alba è una veste bianca, simbolo di purezza e santità, con maniche lunghe che copre tutto il corpo, fino ad arrivare alle caviglie. È il capo che accomuna tutti gli officianti, non solo il Sacerdote celebrante, ma tutti coloro i quali partecipano alla liturgia. Il camice viene indossato sopra l’amitto nel Rito romano, sotto in quello ambrosiano recitando le seguenti parole: Dealba me, Domine, et munda cor meum; ut, in sanguine Agni dealbatus, gaudiis perfruar sempiternis. (Purificami, Signore, e monda il mio cuore, perché purificato nel Sangue dell’Agnello, io goda degli eterni gaudi).

A seguire il cingolo, una cintura che stringe il camice. In genere è di colore bianco ma può variare in base al colore liturgico del giorno. Il cingolo simboleggia la virtù di saper dominare se stessi. Durante la vestizione il prete ricorda San Paolo dicendo: Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis. (Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza e prosciuga nel mio corpo la linfa della dissolutezza, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità).

La stola è una”sciarpa” di stoffa lunga tra i 200 e i 250 centimetri, ornata da tre croci, e simboleggia il dolce giogo di Gesù. Si tratta di un capo che rappresenta il ministero sacerdotale. La stola sacerdotale è il paramento liturgico che contraddistingue il celebrante. Durante la vestizione il sacerdote recita: Redde mihi, Domine, stolam immortalitatis, quam perdidi in praevaricatione primi parentis; et, quamvis indignus accedo ad tuum sacrum mysterium, merear tamen gaudium sempiternum. (Restituiscimi, o Signore, la stola dell’immortalità, che persi a causa del peccato del primo padre; e per quanto accedo indegno al tuo sacro mistero, che io raggiunga ugualmente la gioia senza fine). Per il Sacerdote è un abuso non indossarla al di sotto della casula o celebrare, anche solo assistendo, indossandola sul semplice abito talare.

Infine, il prete indossa la casula o la pianeta, ovvero la veste che viene indossata sopra il camice. Anche questa può essere di diverse fogge e colori a seconda del periodo e dell’occasione liturgica. La preghiera preposta riprende le parole di Gesù: Domine, qui dixisti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portare sic valeam, quod consequar tuam gratiam. Amen. (O Signore, che hai detto: Il mio gioco è soave e il mio carico è leggero: fa’ che io possa portare questa veste in modo da conseguire la tua grazia. Amen).

Oltre a questi abiti principali ce ne sono altri secondari che il prete può scegliere di indossare. Tra questi troviamo:

  • La cotta: una sopravveste bianca con maniche corte e larghe e collo quadrato, indossata sulla veste talare.
  • Il rocchetto: una sopravveste bianca, simile alla cotta, ma con ricami elaborati e in molti casi ornata di pizzo.
  • La dalmatica: una ricca veste utilizzata in epoca romana, ricamata d’oro e ornata di perle. È utilizzata dal diacono o suddiacono (senza la stola)
  • La mitra: un copricapo usato dai vescovi che in passato veniva ornato di pietre preziose e oro.
  • La berretta o il tricorno: un copricapo dalla forma cubica con tre alette rigide e un fiocco sulla parte superiore.
  • Il piviale: un ampio mantello con il cappuccio, lungo fino a terra, che viene indossato al posto della casula o pianeta per le celebrazioni liturgiche al di fuori della messa.
  • La tunicella: molto simile alla dalmatica, in genere viene indossata nelle messe pontificali dal Vescovo sotto la casula o pianeta, immediatamente dopo la stola.
  • Il pallio: una striscia di stoffa di lana bianca ornata con otto croci e tre acicule (come dei chiodi)  da usare sulle spalle. L’utilizzo è concesso oltre che al Pontefice, agli Arcivescovi Metropoliti. È fatto assoluto divieto a questi ultimi di usarne uno diverso da quello consegnato dal Romano Pontefice.
  • Il velo omerale o continenza, nel Rito ambrosiano: un pezzo di stoffa rettangolare con due nastri al centro per fissarlo che richiama i ricami e colori liturgici del piviale. Viene utilizzato per afferrare il Santissimo Sacramento nelle esposizioni e benedizioni eucaristiche.

Nessuno può abusare del diritto liturgico.

L’osservanza delle norme relative al diritto liturgico, dunque, data la profonda simbologia che ogni singolo paramento racchiude in se stesso, è fondamentale. Nessuno, neppure il Papa (qualora per assurdo volesse) potrebbe mai abusarne. Vorremmo di seguito chiarire alcuni degli abusi più frequenti, osservati nelle troppo frequenti divulgazioni di immagini o video di celebrazioni liturgiche tramite social media.

La teologia liturgica e il Diritto canonico non consentono che un Vescovo — per non parlare del Vescovo diocesano nella propria diocesi — concelebri la messa con un presbitero come celebrante principale (a parte una grave necessità, come l’infermità). Ciò deriva dalla natura dell’ufficio episcopale: il Vescovo è il sommo sacerdote nella sua Diocesi. Egli offre il sacrificio della Messa per il suo popolo, mentre con lui concelebrano i suoi sacerdoti, collaboratori che servono la Chiesa locale sotto la sua autorità. Ecco il motivo per il quale, tranne che non assista a latere, in abito corale e dunque non parato per la celebrazione, non è dato che possa concelebrare in luogo della presidenza di un Sacerdote non Vescovo. La flagrante violazione delle leggi liturgiche senza una ragione apparente, se non la scelta preferenziale dello stesso sacerdote porta ad eventi gravissimi come quello di poter vedere un Ministro che concelebri o celebri senza abiti liturgici o con la mancanza di uno di essi.

Per alcuni la violazione delle norme relative ai paramenti sacri è fatto di poco conto. Che si indossi la casula sull’alba o direttamente sulla talare, che si utilizzi o meno la stola al di sotto della casula o pianeta, che si sia decorosamente abbigliati o meno potrebbe essere solo una questione di pura estetica o buon gusto, ma non è così. Secondo alcuni, proprio la spontaneità e l’assenza di regole e di norme liturgiche rappresenterebbe la garanzia più sicura e più autentica della preghiera. Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il Mistero, che non è qualcosa che creiamo o ci inventiamo, ma è la sorgente della nostra vita e della nostra fede. Il culto della spontaneità diventa idolatria, proprio perché propone un orizzonte tanto affascinante e seducente, quanto ingannevole e sbagliato.

Abbiamo precedentemente detto che il Sacerdote agisce in persona Christi, dunque potremmo sintetizzare ciò con la frase di Paolo: «Non più io vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20). Il culto a Dio in  spirito e verità viene dunque veicolato anche attraverso la dimensione visibile del corpo. D’altra parte, il Sacerdote  come tutti gli uomini, è fatto di una parte spirituale e parte sensibile: ha una dimensione visibile ed una interiore. Il corpo è il primo e fondamentale strumento di cui l’anima ha bisogno, per esprimersi ed entrare in comunicazione con l’altro.

Ecco allora perché gli abusi e gli orrori liturgici dettati dal falso pauperismo e dall’idolatria della spontaneità sono intollerabili: non tanto per questioni estetiche, ma perché il culto che dobbiamo a Dio deve essere pubblico, comunitario e deve esprimersi anche attraverso segni visibili.

Ecco allora perché, per essere un sacerdote degno della sua missione e del suo compito, devi rivalutare l’importanza del rito e della gestualità, indossando paramenti sacri decorosi.

prof. Cristian Lanni

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