Pentecoste: il dono dello Spirito Santo

Romano Guardini, il grande teologo italo-tedesco dello scorso secolo, invitava a leggere il Nuovo Testamento a partire dagli Atti degli apostoli, ovvero dal racconto dell’esperienza storica della prima comunità cristiana, accompagnata dagli apostoli e da Maria, nel tempo nuovo inaugurato con la Risurrezione del Signore Gesù.

Questa è anche la nostra esperienza di viventi negli ultimi tempi, tempi che non ci sono annunciati da profezie di sventura ma che sono semplicemente quelli dell’attesa della venuta del Signore nella gloria.

Questo invito di Guardini è contenuto nella sua opera più nota, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo (1937), che raccoglie le meditazioni offerte ai suoi studenti di Berlino nella Messa della domenica mattina che per otto semestri, dal 1932, aveva celebrato insieme con loro nella cappellina di San Benedetto in Schlüterstrasse.

Il dono dello Spirito, “soffiato” nella festa di Pentecoste, è «caparra della nostra eredità in attesa della completa redenzione» (Ef 1,14). Egli è Dio che resta con noi fino alla fine del mondo, l’Anelito che ci attrae nel giorno senza tramonto, che ci suggerisce parole come “Non vedo l’ora di rivederti!”. Lo Spirito Santo è l’Artigiano dell’uomo nuovo nato nella morte e risurrezione di Cristo.

Nella VI domenica di Pasqua, che precede l’Ascensione, Gesù Risorto promette che non ci lascerà orfani (Gv 14,18), perché noi stessi saremo come Lui. Ma come, questo, può avvenire? Ricevendo lo Spirito Santo, nel quale soltanto si può dire “Gesù è Signore”, o gridare “Abba Padre!” (Rm 8,15). Una caparra, insomma, sproporzionata, ed è un dono che viene dal cuore stesso di Dio fin dall’evento sacramentale del Battesimo. È proprio da questa promessa, che Guardini suggeriva di rileggere la storia di questi Galilei. Da questo dono ricevuto rileggere il Vangelo «per vedere chi è colui il quale si fa qui un evento che forgia la storia».

Tre nomi per lo Spirito Santo

Vorrei condividere tre nomi che mi aiutano a entrare nel mistero di questo giorno, in cui è data la nuova legge della vita cristiana, il sigillo della Nuova Alleanza. Sono parole che mi risuonano dalle pagine della liturgia, e che corrispondono ad altrettante operazioni che lo Spirito Santo compie per santificare i credenti: l’umiltà, la comunione e il perdono.

«Mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 1-4).

«E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo, a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20, 21-23).

Umiltà

Che cosa può essere ricolmato? Ciò che prima è vuotato. L’amore esige che io non ingombri lo spazio e che divenga un organo cavo (tale è il cuore!), perché lo Spirito venga e respiri dentro di me, e perché l’altro (ogni Altro) si senta accolto. I discepoli, benché impauriti, si erano disposti a questo, erano seduti ed umili, forse intorno a una mensa, e pregavano. Sono molto diversi tra loro e hanno imparato l’arte di accogliersi dalla compagnia con Gesù.

Ecco perché si annunciano tanti compimenti in queste righe degli Atti, che sembrano fare eco a quel grido di Gesù sulla croce: «È compiuto!». Tanto è vero questo, che in quel compiersi il Signore consegnava il suo Spirito, il protagonista della Pentecoste cristiana. Nella liturgia di Pentecoste noi leggiamo questi due episodi congiuntamente, come se fossero due momenti della stessa narrazione. (Laddove, invece, stando alla cronologia dei fatti nel Vangelo di Giovanni, lo Spirito è donato nello stessa sera di Pasqua).

Ci sono tre verbi scanditi in questa pagina che raccontano una tensione verso la pienezza: quella del giorno della festa (sta per compiersi il tempo); quella della casa dove i discepoli siedono in umile attesa (si riempie il luogo); quella degli stessi discepoli (è colmato di Spirito l’uomo). Più avanti leggiamo anche un’altra parola, una folla (in greco è un vocabolo che somiglia all’italiano pletora e che ha la stessa radice di questi verbi): un numero sovrabbondante di uomini che si radunano per lo stupore di sentire parlare altri nel proprio dialetto. Niente resta fuori dalla portata dello Spirito Santo: ogni spazio, ogni tempo, ogni persona e ogni popolo ne sono abbracciati.

«Da quando Cristo ebbe inviato ai divini discepoli il dono dello Spirito Santo, da allora la divina potenza coprì con la sua ombra tutti i credenti» (Macario l’Egiziano). La storia, il creato, ogni uomo e nazione sono orientati a vivere nella comunione, coperti dalla sua ombra, come lo era stata Maria nel concepire Gesù.

Comunione

Questa è l’opera meravigliosa dello Spirito Santo che deve essere raccontata. Quest’opera trabocca ancora nel miracolo, proprio solo dell’amore, di parlare nel dialetto degli altri: la lingua con cui si parla alla propria madre. Maria Maddalena, nel giardino della Risurrezione, riconosce il Signore dal modo familiare con cui Gesù pronuncia il suo nome, tanto che gli risponde nel suo ebraico.

Sentirsi rivolgere una parola nel tuo dialetto significa che il tuo modo di parlare mi interessa, che puoi farti avanti nel mio spazio, che troverai in me un territorio pacifico in cui sedere. Ti rivolgo una parola che tu puoi capire, una parola che viene dalla bocca di un altro, a cui tu forse non avresti mai parlato. Perché senza Cristo la pietra dell’incomunicabilità non sarebbe rotolata o sarebbe stata l’arma della nostra reciproca lapidazione. E invece io, che mi fregio d’essere un figlio di Adamo, e che irrompo nella tua vita come un rumore caotico, dal giorno in cui sono risorto con Cristo ho una voce personale che anche tu puoi ascoltare e ricordare.

Ed ecco dove tutto questo, amico/a che leggi, va a parare. Il ciclo delle letture dell’Anno A fa risuonare quello che ho immaginato essere il terzo nome dello Spirito Santo, che negli altri anni resta non pronunciato, ma che in realtà è proprio il segreto del giorno di Pentecoste, il volto più bello con cui lo Spirito si manifesta nell’uomo, il patrimonio che il Padre ha consegnato nelle nostre mani, la «quintessenza del Regno», la chiave che è stata forgiata con la vita di Gesù.

Perdono

Nella pagina di Giovanni, ricevere lo Spirito Santo significa perdonare. Il nuovo Adamo respira e perdona, perdona e respira, cioè vive di nuovo: quella ferita che gli è stata inferta, che impaurisce e che attesta la sua morte è lo spazio aperto in cui ti accoglie e risorge.
Le Chiese orientali celebrano il rito della genuflessione nei primi vespri della solennità di Pentecoste. Il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua si riceve in ginocchio il frutto del sacrificio di Gesù: la riconciliazione dell’umanità con il Padre, attraverso l’effusione dello Spirito Santo.

Il perdono è il vero cammino di perfezione del cristiano, l’amore che in quanto membro del corpo di Cristo io riverso nel calice del mio nemico.

Il male da cui nella preghiera del Padre nostro chiediamo di essere liberati è, dopotutto, quello di impedire a qualcuno, chiunque egli sia, di sedere con me, per il suo peccato di ieri o di oggi.

Scrive Ioannis Zizioulas, il patriarca di Pergamo scomparso lo scorso Febbraio: «…il futuro dà la vera sostanza di tutte le cose: il loro posto nel regno. Questo è esattamente ciò che elude il nostro giudizio, perché appartiene esclusivamente a Dio e alla libertà dell’altro. “Tu forse lo vedi peccare, ma tu non sai in qual modo egli passerà da questa vita”» (Eucaristia e regno di Dio, 1996).

Anche per frate Francesco d’Assisi era essenziale alla vita dei fratelli: «Desiderare di avere sempre lo Spirito del Signore e la sua santa operazione» (capitolo X della Regola bollata). E, per lo stesso fine evangelico, amare i nostri nemici.

Non resta che invocarlo, il Signore dell’umiltà, della comunione e del perdono:

Vieni Spirito Santo,
rinnova sul mio volto
i tratti del Figlio Risorto.
Trovami oggi capiente,
fammi pacifico e capace di perdono
come il Padre. Vieni!
Radunaci nel nome del Dio Amore
affinché parli il nostro cuore
affinché non tardi il Suo regno
e dove è Lui siamo anche noi
per tutti i secoli dei secoli.
Amen!

Fra Andrea

Qui il commento al vangelo di Domenica scorsa.

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