Il Regno di Dio “avvicinato”: denudarsi per immergersi

Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento

Contrastanti profumi

Si abbreviano le distanze tra noi e il regno dei cieli, si accorciano le struggenti lontananze, l’approssimarsi di una presenza è assicurato, i tempi “penultimi” sono alle porte: un bacio si prepara dietro alla porta dell’attesa, pronto a essere impresso sulle nostre labbra, sulle nostre fronti. Il passo matteano di questa II Domenica di Avvento ci sussurra all’orecchio, sfacciato e audace, l’andar prodigo di Dio: il regno dei cieli si è avvicinato.

Il farsi prossimo di Dio – il Suo “rivelarsi-al di là” piantato proprio “al centro della vita terrena dell’uomo” – lo dico alla Bonhoefferiana maniera – non è evento dal confortante sapore di “latte e miele” (Dt 11,8) piuttosto dal gusto agrodolce di miele e locuste! (Mt 4,3).

L’Adonai dell’antico Israele si mostra, anche in “terra neotestamentaria”, il Dio dei folli profeti, Dio dei contrasti e dei non-sensi, Dio delle paradossali consolazioni. Avviciniamoci un po’ a questo testo evangelico, dunque, percepiamone i contrastanti profumi.

In cerca

In Mt 3.1 è la voce del narratore a prendere parola e – come al sollevarsi di un sipario – la scena s’apre in mezzo al deserto di Giuda: un irruento e provocatorio battezzatore è posto al centro della narrazione mentre una folla proveniente dalla Giudea e dalla regione del Giordano gli si stringe tutt’intorno. Che cosa cerca questa gente dal “mangiatore di locuste”, profetico personaggio vestito di peli di cammello, in mezzo alle lande desolate della Giudea? Certamente non per chiedere pane caldo o comoda ospitalità sono lì quelle persone: dunque, cosa van cercando da Giovanni il Battezzatore, tanto da intraprendere un non favorevole viaggio? «Si facevano immergere da lui nel fiume Giordano» ci spiega la voce narrante «riconoscendo i loro peccati» (Mt 3,6). La richiesta è dunque quella d’essere immersi nelle acque a rimedio del proprio male.

Qualcosa però attira ben presto l’attenzione del Battista suscitandone l’impetuosa collera: in mezzo alla calca sono presenti alcuni esponenti delle due correnti principali del giudaismo del tempo, i custodi della legge chiamati “Farisei” e i membri della classe sacerdotale, i così detti “Sadducei”; anche costoro chiedono d’essere immersi nelle acque. La reazione del battezzatore è feroce:

«Razza di vipere! Chi vi ha suggerito il modo di sfuggire alla collera che sta per venire? – Giovanni si riferisce ai tempi escatologici, ai tempi ultimi – Fate dunque frutto degno del vostro ravvedimento! E non illudetevi di poter dire fra voi “Abbiamo Abramo come padre!” perché vi dico: Dio può far sorgere figli di Abramo anche da queste pietre!» (Mt. 3,7-9)

Metánoia

Non basta quindi, secondo l’ultimo profeta, conoscere a memoria la Legge – quasi a custodirla avidamente – per esser risanati dal proprio male; né ha alcuna efficacia la liturgia dell’immersione nelle acque del Giordano se ci si crede “già salvi” per il solo fatto d’esser sacerdoti del Tempio: questa è piuttosto vuota boriosità, sontuosità religiosa. “Il regno avvicinato” esige ben altro. Una μετάνοια è necessaria, un profondo capovolgimento del cuore, un radicale mutamento del modo di pensare e di vivere la relazione con Adonai e gli uomini suoi, tutti: giacché Dio è “al di là-al centro” della vita terrena, capace di suscitare suoi figli molto lontano dal Tempio, radicalmente fuor di esso, e di plasmarli dalle dure pietre. Siamo qui alla presenza di un importante anticipo narrativo rispetto a quanto lo stesso vangelo matteano affermerà più avanti:

«Disse loro Gesù: “Amen vi dico: gli esattori delle imposte e le prostitute vi precedono nel regno di Dio! Giovanni infatti è venuto a voi sulla via della giustizia, e voi non gli avete creduto, mentre gli esattori delle imposte e le prostitute gli hanno creduto. Ma voi, pur avendo visto ciò, neanche alla fine vi siete pentiti per credergli”». (Mt 21,31-32)

I “penultimi” tempi

La pericope evangelica di questa II Domenica di Avvento conclude con un’ardente promessa:

«[disse loro Giovanni] ”Io v’immergo in acqua affinché possiate ravvedervi, ma colui che viene dietro a me è più forte di me e io non sono in grado di togliergli i calzari: sarà lui a immergervi in Spirito santo e fuoco”» (Mt 3,11)

I destinatari di questo passo evangelico – è certo – siamo noi, ecclesia di Dio nell’oggi; esso trascina con irruenza amorosa e impaziente ogni cristiano – non importa “la casta” religiosa di appartenenza – sulle rive del fiume Giordano: bisogna confondersi tra la sabbia e la folla. Tutti, tutti, (nessuno è escluso) siamo invitati alla metànoia, denudarci-per-immergerci: poiché se non ci si riconosce frantumati, nemmeno è possibile vivere la relazione con il Dio vivo-reale nel mondo reale. Noi siamo chiamati a spingerci oggi fino alle rive del Giordano non rivestiti di sacra-illusoria religiosità, ma spogli, feriti dalla verità, frantumati dai nostri mali: figli consapevoli d’esser afferrati dalla Grazia pre-veniente di Adonai.

Un bacio di carne e spirito si sta preparando dietro “alla porta dell’attesa”, pronto a imprimersi sulle nostre labbra; riecheggiano le promesse di un avvento, l’atteso si prepara a venire: dunque, fin da questa terra, giunga presto! Sono i “penultimi” tempi.

Deborah Sutera, dall’Osservatore Romano del 29/11/2022

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