Una prima riflessione per comprendere il problema a cura del prof. Lanni. Nel mese di aprile del 2012 il Pontefice Benedetto XVI aveva inviato una Lettera all’Episcopato tedesco con la quale aveva disposto che l’espressione della preghiera Eucaristica «Per molti» fosse sostituita al «Per tutti», già in uso. Tuttavia quella disposizione rimase, obiettivamente, inevasa e forse si ingenerò ancor più confusione su una tematica tanto importante quanto inarrivabile, che riguarda direttamente le parole di Cristo Signore.

Cercheremo, per tanto, di districarci tra le fila intricate di questo discorso per cercare di comprendere a che punto sia la discussione e se esiste una possibile soluzione.

Inizieremo considerando dapprima due aspetti, per così dire sistematici che possano aiutare a ricostruire la questione, per poi passare a considerazioni di carattere critico.

L’origine del problema

Prima di tutto il Pontefice cercava di ricostruire le origini della problematica. Per rintracciare l’origine del problema bisogna partire da Is 53, 11ss. ove il Profeta dice «il giusto mio servo giustificherà molti». È su questo «molti» che si fonda l’origine della discussione, «πολλοῖς» in greco, «רובם» in ebraico. Proprio nell’ebraico questa forma intende in vero una totalità e si potrebbe tradurre con il «tutti»; dunque i testi evangelici di Matteo e di Marco conterrebbero in verità un cosiddetto semitismo, ovvero un termine da ricondurre all’accezione ebraica. Questo medesimo concetto si sarebbe applicato anche al latino, per cui il «pro multis» andrebbe in realtà tradotto con «per tutti», applicando il medesimo intendimento del testo di Isaia. Per cui il testo matteano del racconto dell’ultima cena, che riporta l’espressione «περὶ πολλῶν» [1] o quello marciano che riporta l’espressione «ὑπὲρ πολλῶν» [2] andrebbero intesi nel senso di una totalità, ovvero nell’accezione ebraica del termine «רובם» che indica non una moltitudine circoscritta, ma la pienezza della totalità. Dai dati riportati, seppure in sintesi, si deduce che la resa del «pro multis» con «per molti», sarebbe in vero, più che una traduzione pura, una interpretazione certamente fondata, ma più che una traduzione. Ovvero, si sarebbe reso un termine che in greco si presenta con l’idea di una pluralità circoscritta, secondo l’accezione della cultura ebraica (particolarmente del Profeta Isaia) che con il medesimo termine indica una totalità. Una vera e propria commistione che Benedetto XVI riconosce, riconoscendola appartenente, in un certo senso, ai principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontani dal mondo del parlare e del pensare dell’uomo contemporaneo, così che anche tradotti essi sarebbero rimasti ampiamente incomprensibili ai partecipanti alla liturgia [3]. Certamente, a queste condizioni, il principio di una traduzione contenutistica e non necessariamente letterale rimane giustificato, ma non del tutto. Vi sono due ostacoli: da un lato, una resa quanto più possibile armonica nella lingua autoctona che spesso lascia dietro l’originalità del testo, dall’altro le banalizzazioni che sono state effettuate nell’opera di traduzione dei testi liturgici. È chiaro, dunque che il principio della corrispondenza strutturale e non letterale, presenta dei limiti.

Sviluppi successivi

Seguendo il filo della Lettera del 2012, è interessante notare cosa il Dicastero competente dica sul problema delle traduzioni. Il testo di riferimento è, senza dubbio, l’Istruzione del 2001 Liturgiam Authenticam [4]. Scorrendo il testo di questa Istruzione si comprende come la Congregazione per il Culti Divino e la Disciplina dei Sacramenti riporti al centro il principio della corrispondenza letterale pur senza effettuare una prescrizione del verbalismo unilaterale. L’elemento fondamentale, che poi si pone anche alla base dell’Istruzione stessa, è la distinzione tra interpretazione e traduzione; discernimento necessario per la Sacra Scrittura, ma anche per i testi liturgici. Qui, tuttavia, si presenta una problematica ulteriore: da un lato la Parola sacra va accolta così come è, pur nella sua espressione misterica e talvolta incomprensibile, anche con le sue estraneità e con le domande che reca in se stessa. Dall’altro, la Chiesa ha il dovere/diritto di interpretare affinché il messaggio di Cristo Signore sia il più possibile comprensibile, pur nei limiti dell’uomo. Se dunque, da una parte la Parola deve essere presentata così come essa è, dall’altra va interpretata per permetterne una comprensione il più diffusa possibile, ma allo stesso tempo l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa.

Poco dopo la sua elezione anche il Pontefice Francesco si era espresso, in un’omelia del 2017 in Casa Santa Marta, per la Commemorazione dei Cardinali e Vescovi defunti ha affermato che i molti che risorgeranno per la vita eterna sono quei molti per cui fu versato il sangue di Cristo. D’altro canto nel Motu Proprio Magnum Principium [5], Francesco ribadisce ancora una volta che è urgente la necessità che la Parola si riconosca quale mistero perché è il linguaggio di Dio agli uomini; Cristo stesso nel Vangelo parla al suo popolo che, da sé o per mezzo del celebrante, con la preghiera risponde al Signore nello Spirito Santo. E sembra allinearsi alla linea del suo predecessore, quando continua nel Motu Proprio, dicendo che il fine della traduzione dei testi biblici come liturgici, è annunciare ai fedeli la parola di salvezza in obbedienza alla fede ed esprimere la preghiera della Chiesa al Signore. Proprio per questo, bisogna fedelmente comunicare ad un determinato popolo tramite la sua propria lingua, quanto che la Chiesa ha inteso comunicare ad un altro per mezzo della lingua latina. A proposito di ciò, la fedeltà non sempre può essere giudicata da parole singole ma deve esserlo nel contesto di tutto l’atto della comunicazione e secondo il proprio genere letterario. Questo è certamente vero, ma alcuni termini peculiari vanno considerati anche nel contesto dell’integra fede cattolica, poiché ogni traduzione dei testi liturgici deve essere congruente con la sana Dottrina.

Da queste prime considerazioni, dunque comprendiamo la complessità del tema proposto che sembra avere come filo conduttore il lasciarsi interpellare, sempre, dalla Parola. Non ignorandone il mistero che reca intrinseco, ma anzi cercando di comprendere come tale mistero parla al cuore della Chiesa.

Altri articoli sulla liturgia sono presenti nella nostra rubrica ABC Liturgico.

[1] Mt 26,28.

[2] Mc 14,24.

[3] cfr. Benedetto PP. XVI, Lettera al Presidente della Conferenza Episcopale tedesca, 14 aprile 2012, in www.vatican.va.

[4] cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Quinta istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II: Liturgiam Authentica, 8 maggio 2001, in www.vatican.va. [5] cfr. Francesco PP., Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Quibus nonnulla in can. 838 Codicis Iuris Canonici immutantur: Magnum Principium, 9 settembre 2017, in www.vatican.va.

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