È così che il tempo mi riporta a scrivere di Te, e per me, lo sai, questo significa provare a parlarti, ascoltarti tra le righe di un giorno qualsiasi in cui potrei fare altro.
La tesi ha gettato l’esca e spera che io abbocchi, impaziente lei pure, di sapere come andrà a finire. Le pagine dei libri e dei manoscritti mi fissano dallo schermo del PC, prigioniere delle foto che ho scattato. E intanto il vento della preoccupazione si specchia in quello reale che, appena più tenue, gioca coi rami oltre la finestra.
Sai cosa penso? Che talvolta l’anima mia somiglia al mercurio che, cotto dal calore, fugge lontano finché non trova il suo refrigerio, e lì rimarrebbe, ostinato, se una mano sapiente non resettasse i suoi passi riportandolo all’origine.
È proprio così. Anch’io parto da un’Origine, da Te, ma poi la fatica cruda e vera di vivere mi brucia, mi scotta e mi fa allontanare verso un altrove bello e bugiardo. E solo quando la Mano del Padre mi scuote e mi chiama, rivedo più chiara la strada di casa, ritorno cosciente al Senso di tutto e tutti i miei guai acquistano un Senso.
È la Verità che stai cercando o una bella bugia?
Allora, guardando ai discepoli nel Vangelo di questa Terza Domenica di Pasqua, penso di aver bisogno anch’io di un reset qualche volta. Devo alzare il velo con cui copro la mia povera anima e scoprire che sotto sotto sono proprio così: povera. Devo fare esperienza di che significhi lavorare tutta la notte e non prendere neppure un pesce, mentre la fame sale e mi logora lo stomaco.
E mi ci vuole talvolta una sincera e faticosa umiltà per lasciare che Dio guardi le mie mani vuote e mi insegni proprio l’arte che credo essere più mia, e mi dia il suo consiglio e il suo insegnamento per compiere proprio il lavoro che penso di saper fare meglio.
«Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».
Allora, azzerato l’inessenziale, posso finalmente riconoscere che sei Tu, il Risorto, non solo la mia Origine, ma anche il mio Fine, la mia Eternità. E mentre nella mente mia si moltiplicano le domande che vorrei farti, Tu rompi il mio silenzio inquieto per chiedermi soltanto se Ti amo. Un’unica domanda – scandalosa, se mi permetti – perché che Te ne fai, oh Dio, del mio misero amore?
Eppure un mendicante sarebbe meno insistente di Te che, da quando sei Risorto, ogni Domenica torni, ti fai Pane e ti appoggi sulle mie palme, prima di chiedermi un’altra volta: «Mi ami?».
Cuore di Uomo innamorato senza traccia d’orgoglio,
Dio mai pentito d’aver dichiarato per primo il suo amore,
mai stanco di implorare: Mi vuoi bene?
Benedetta
Qui il link del commento al Vangelo della Seconda Domenica di Pasqua.