Qualche anno fa quando avevo la grazia di essere un giovane studente di Filosofia, il giorno di San Valentino per me ed immagino per molti altri aveva un gusto tutto speciale. Infatti in quella Facoltà insegnava e tuttora insegna un professore tra i più amati soprattutto per la sua gentilezza e bontà d’animo, per il suo essere innamorato della vita, della filosofia, dell’arte ed anche della crescita degli studenti Marcello La Matina. Lui aveva inventato questa tradizione: la lezione di San Valentino. Non era una lezione frontale, né tanto meno canonica, essa aveva i connotati del suo autore, era eclettica, cioè combinava varie discipline ed arti verso un unico fine e scopo: l’amore.

Parlare dell’amore di questi tempi è dura, soprattutto se su questa parola sono andati negli anni sovrapponendosi vari strati semantici, infatti appena uno ascolta la parola “amore” si trova immerso in un mondo, non sempre armonico, di significati; il fatto che tale lezione avvenisse nel giorno di San Valentino, o nei giorni limitrofi, aumentava la difficoltà, perché sarà sì la festa degli innamorati ma tra innamoramento ed amore vi può essere, a volte, un divario notevole.

Nonostante ciò il professore di originale siciliana con il suo temperamento riusciva a tenere in pugno un’aula piena di giovani assetati di sapere ma sopratutto di amore, tutti erano lì ed aspettavano le sue parole, se parlava, le sue note, se suonava, i suoi versi, se declamava poesie. Il tempo correva, sui volti di tutti era dipinto lo stupore, la commozione, la bellezza che solo l’amore può suscitare.

Non ricordo molto di queste lezioni, il tempo ha svolto la sua azione di rimozione, ma qualcosa è sopravvissuto: una poesia di Montale, che ancora oggi nel rileggerla non posso non ricordarmi di lui che cammina, declamandola, tra le nostre sedie, commosso come un uomo che è innamorato e che soprattutto ama.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Ci sono realtà di fronte alle quali ci sono due alternative: o tacere o poetare, sì la poesia, in alcuni casi, riesce ad intuire il cuore di ciò viviamo e proviamo, soprattutto lì dove le parole in prosa non possono che arenarsi o naufragare.

Un milione di scale, espressione dal sapore iperbolico, ha sceso il poeta con la compagna di una vita Drusilla Tanzi, affetta da una malattia agli occhi, una poesia che con un linguaggio quotidiano riesce a condensare e a restituire al lettore vari sentimenti: dolore, solitudine, smarrimento ma io ne individuerei uno in particolare che ci può essere utile in un giorno così: la paziente fatica quotidiana dell’amore.

Sì, l’innamoramento è volteggiante, travolgente, leggero, trascinante, l’amore anche può esserlo ma va coltivato, goccia dopo goccia, atto dopo atto, attimo dopo attimo, in un lento lavorio che assomiglia al grande lavoro dei costruttori. Credo che sì “la costruzione di un amore – come direbbe un cantautore Ivano Fossati – spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore se ti rimane”; questo è il mio augurio che in questo giorno, dove tutto si tinge di rosso, vi ricordiate che il resto dell’anno per amare, più che per essere amati, ci vuole fatica, sudore e pazienza e non vi spaventate è così per tutti; quindi buon San Valentino e buona festa degli innamorati perché tutti lo siamo o di un qualcuno o di un qualcosa.

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