Si può vivere così? è una meditazione a partire dal Vangelo secondo Luca 13,1-9.

“In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
 
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».”

“Si può vivere così”  è un celebre scritto di Don Luigi Giussani dove l’autore si pone questa domanda relativamente alla vita cristiana come mostra il suo sottotitolo: ” Uno strano approccio all’esistenza cristiana”. Mi sembra che tale titolo sia calzante per entrare in contatto con il Vangelo di domani, III Domenica di Quaresima, perché la questione più importante della brano lucano non è tanto la morte, come sembrano sottolineare “alcuni che andarono a riferire a Gesù il fatto…”, bensì la vita, il come si conduce un’esistenza.

Già ai tempi di Gesù probabilmente il cuore dell’uomo era abitato dalle nostre stesse domande: perché quell’innocente muore? Perché quegli uomini così dediti a Dio e al prossimo sono stati uccisi? Perché accadono disgrazie a chi è buono? E sotto sotto la tirata è verso chi invece si comporta male e vive bene. E’ lo “scandalo” sacrosanto del male nel mondo e della relazione tra Dio e il male: perché Dio permette questo? Se Dio è buono, perché il dolore, le malattie, il male?

Sarebbe infinitamente lungo e forse inappropriato ora addentrarci in quella che in termini accademici viene definita la “teodicea”, ed è impossibile farlo senza andare a violare quello che è il “mistero” di Dio, della sua opera, del suo essere Dio e Padre. Invece ciò che potrebbe essere fruttuoso è porre l’attenzione, come fa Gesù, non tanto sulla morte ma sulla vita, non tanto sulle disgrazie ma sul modo di vivere queste disgrazie.

Quando gli viene riportato questo evento tragico, Gesù che scruta i cuori dietro al racconto intuisce la preoccupazione e forse anche l’intenzione nascosta dei suoi interlocutori e pone, come suo solito, un’altra domanda che evoca il peccato, la colpa o meglio per dirlo in parole semplici e chiare: la responsabilità colpevole di morire o il merito di vivere. Gesù non ci gira intorno e pone un quesito che ai miei orecchi è suonato in questo modo: “Secondo voi coloro che sono morti avevano qualche colpa e per questo motivo Dio li ha fatti morire tragicamente?”. Un interrogativo che ne intreccia un altro ancora più ampio, grande e forte: “Dio punisce i cattivi e premia i buoni?”. Due questioni di questa portata non possono che stringere il cuore di ogni uomo, due terribili “sospetti” che sarebbero capaci di oscurare qualsiasi relazione e per ovviare a ciò Gesù conclude con forza per ben due volte come a ribadire l’importanza dell’affermazione: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” cioè se non entrate nella logica di un Padre che vi ama, che vi custodisce, che non punisce allora perirete come loro, non sotto la torre ma con quel terribile tentazione nel cuore: immaginare un Dio giustiziere che aspetta un nostro errore per punirci.

Ecco di fronte a questa serie di interrogativi incalzanti nasce la mia di domanda: “Si può vivere così?”, si può vivere con la perenne paura di Dio? Con la terribile immagine di un Dio che è un giudice invece di un essere un Padre? A questo Gesù sembra rispondere di no e lo fa con uno degli espedienti argomentativi che più ama: la parabola. In essa racconta di un vignaiolo che non cessa di confidare, di sperare, di curare il suo fico e che non si stanca di vedere oltre quei frutti mancanti ma che ha un amore così grande, così paziente da attendere e lavorarci sopra, ancora ed ancora.

Si, con un Dio così si può vivere, si può respirare, si può sbagliare, si può essere liberi, si può essere figli.

Altre meditazioni sulla Parola di Dio, le trovate nella nostra rubrica: Lievito nella Pasta.

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