“Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito” (Lc 12, 36).

Ci sono attese che possono durare oltre la nostra misura, ci sono porte che si aprono solo dal di dentro, ci sono notti che non sono fatte per dormire ma per rimanere svegli, ci sono nozze che, fortunatamente, tardano a finire.

Vi sono dei servi, non uno, quando ne basterebbe uno per aprire una porta, ma diversi, forse pochi, forse tanti e forse alcuni. Servi che attendono, che tendono l’orecchio per percepire con gioia quel tocco sulla porta, segno di un Signore, infatti il greco usa il termine Kyrios, che finalmente torna.

Un’attesa fecondata dalla gioia, non dalla paura, non dal terrore di una punizione ma dalla letizia di fare festa di nuovo, una gioia che sono altre Nozze, questa volta tra noi e il Signore, nozze tra la sua di fedeltà mai mancante e la nostra di fedeltà povera ma che si nutre di attese ed attenzione. Un’attesa fecondata da un ascolto attento nelle “notti” della vita, quando ogni speranza si fa più faticosa e quel “bussare alla porta” è segno di una nuova alba.

Un padrone, un Signore, un Dio che ama la gioia e la gioia del servire: “lì farà sedere a tavola e si metterà a servirli”. Ecco la promessa già in atto, una beatitudine che si rinnova nei Sacramenti, nella Parola e nella carità. Beati noi dunque, beati tutti coloro che, in assenza di luce, hanno le lampade accese, perché una singola lampada illumina anche la notte più buia. 

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