Familiarità, conforto.
Se dovessi descrivere a parole la visita alla casa di un amico, inizierei con l’impaziente attesa davanti alla porta, dopo aver suonato il campanello; la consapevolezza di essere attesi; la familiarità dei profumi, dei sorrisi, degli abbracci e delle stanze, che tuttavia per un solo istante lascia il posto a un che d’inaspettato e inusuale. Se dovessi poi dipingere il commiato, racconterei la gioia e la spontaneità del tempo trascorso insieme, delle confidenze fatte senza dubitare la fiducia reciproca, e quel senso di leggera angoscia nel salutarsi, placato da due parole, quasi sussurrate sulla soglia: “A presto”.
Tutte queste sensazioni, racchiuse in un’aura confortevole e poetica di calore, le ho ritrovate nella tua Casa, Madre. Mentre attraverso quella porta, così nota, tutto sembra nuovo per un istante. Mentre cammino davanti a te, nelle luci soffuse della Basilica, di sera, mi sento trasportare alla notte in cui il tuo “Fiat” ha cambiato non solo la Storia, ma la mia storia.
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Cuori che s’incontrano.
Siamo in pochi, soli con te, e i nostri occhi sono assetati della tua presenza e della tua compagnia. Lascio che i nostri cuori s’incontrino nell’intimo silenzio e nel tepore di queste pareti; assaporo la grazia di poter trascorrere del tempo con te, senza l’urgenza di dover cedere il mio posto al prossimo gruppo di visitatori; no: questa sera ho la grazia di dire che siamo soltanto io e te.
Se chiudo gli occhi e mi concentro mi sembra quasi di sentire la tua voce che rimbalza tra i mattoni, di percepire la tua ombra che si muove sapientemente nello svolgere le semplici faccende della casa, di vedere le tue mani che accarezzano il viso del tuo bambino o che si congiungono in una risoluta ma potente preghiera.
Così iniziamo la nostra, di preghiera: mentre meditiamo i misteri del Santo Rosario tra le mura in cui, per la prima volta, essi stessi si sono fatti carne, ogni parola assume un significato nuovo, riscoperto, più vivo e vero. Ripetiamo insieme le parole dell’Angelo, poi quelle di Santa Elisabetta; ti invochiamo, Piena di Grazia, ti chiediamo aiuto; ma, come la nostra guida non si stanca mai di ricordarci, con un cuore pieno di gratitudine. Ci stringiamo nella stanza come a volerci stringere tutti nel tuo abbraccio, così da sentirci uno solo con te.
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Un istante di Cielo.
Ogni cosa, alla tua presenza, è ridimensionata: ciò che sembrava impossibile diventa miracolo, e ciò che sembrava scontato diventa dono. Un pensiero mi sfiora la mente: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende”. Tanta è la bellezza di poter condividere con i fratelli un pezzo di Cielo, che vorrei non finisse mai, come i discepoli sul Tabor: oppressi dalla stanchezza del mondo e dai macigni del nostro cuore, tentiamo di rimanere svegli davanti alla tua gloria e allora ricordiamo che ogni istante trascorso lontani da te è un istante di Cielo che ci siamo persi. Ma arrivi tu, Madre, con la tua dolcezza a ricordarci di fare quello che Lui ci comanda: il semplice sforzo di portare l’acqua, perché a trasformarla in vino ci ha già pensato Gesù.
Così ti salutiamo, con un canto, un sorriso, una foto; e nell’ultimo sguardo lanciato di sfuggita, uscendo, sembri accompagnarci con un sorriso, sulla soglia, e sussurri: “A presto”. E quell’istante di Cielo, stasera, lo custodiamo nel cuore.
Serena Lambertucci
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