Il termine regolamento di conti suscita in noi molte immagini, diverse impressioni, sicuramente molto distanti dalla realtà evangelica. La liturgia del giorno, nel Vangelo di questa domenica, narra però una scena tutta particolare: un uomo, un padrone, dopo essere stato via per un lungo viaggio ed aver consegnato i suoi beni ai suoi servi, torna dopo molto tempo e vuole “regolare i conti” con loro.

Vi confido, in apertura, che se io fossi stato uno dei quei servi, avrei avuto una certa paura, un certo timore e mi sarei comportato come l’ultimo servo, quello che per “paura” nasconde il talento. Anche se avrei voluto avere quella libertà, quella fiducia degli altri servi che subito, quasi correndo, hanno preso questa enorme somma, circa due mila euro a talento, e l’hanno fatta fruttare.

E mentre mi interrogavo su cosa abbia causato questa enorme differenza di atteggiamento, mi sono imbattuto in una traduzione diversa, letteralmente più corretta, di synairei logon che indica non tanto l’azione del regolamento dei conti bensì un “sollevare insieme una parola“, atto che descriverebbe in modo migliore l’intenzione, il desiderio di questo padrone.

Il padrone, che è un’immagine che ci indica Dio, non voleva attuare un vero e proprio regolamento contabile, un controllo fiscale su quanto lui avesse guadagnato e su quale dei servi fosse stato il migliore broker di talenti ma un processo ben più profondo, più intimo.

Il rendiconto di cui il padrone vuole discutere è quello relativo alla “fiducia” che lui stesso ha posto nei suoi servi. È un uomo che più di tutto vuole che i suoi servi capiscano, si rendano consapevoli che lui ha voluto investire su di loro, che i talenti erano solo un mezzo, non un fine, quasi una “scusa”. Ciò che a lui importava non era tanto sapere quanti talenti avesse guadagnato ma quanta fiducia lui avesse generato in loro con questo atto di consegna.

Ma allora quella reazione sul finale? Perché si arrabbia così? Ad un’attenta lettura si intuisce che la sorgente da cui scaturiscono i diversi atteggiamenti di gioia o di paura, è l’immagine di Dio che ognuno di noi ha in sé.

Se pensiamo che Dio sia un po’ fiscalista, che passi al vaglio le nostre azioni, allora chi di noi avrebbe azzardato l’investimento con il rischio di perdere l’unico talento? Ma se invece crediamo che Dio scommetta tutto se stesso per noi e su di noi allora tutto cambierebbe, allora inizieremmo a correre con fiducia sulle strade della vita, investendo i nostri vari talenti senza paura ma nell’attesa di quella gioia a cui siamo chiamati ed invitati, assaporando già quelle parole: “prendi parte alla gioia del tuo padrone“.

Paride

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